Tocca riparlare del codice etico. La cosa mi dà molta noia, perché io sono tra quelli convinti da sempre che l’etica sia dentro l’anima degli uomini, se c’è, altrimenti non basta scriverla e riscriverla mille volte per imporla d’ufficio. Purtroppo, il ciclismo si è visto costretto, qualche tempo fa, a scegliere questa seconda strada, l’etica per decreto, riassumendo su carta le norme supreme che devono regolare la vita del movimento professionistico. Dico subito quello che penso, sullo stato di salute della creatura: come sempre, quando qualcuno maneggia un materiale che gli è estraneo, escono solo disastri. Così le squadre del Pro Tour: lavorando sopra l’etica, questa sconosciuta, si ritrovano inevitabilmente tra le mani un mostro deforme.
Rivediamo soltanto qualche vicenda del passato. Prima del Tour de France, lo sappiamo tutti, succede quel che succede perché dalla Spagna rimbalzano sospetti (e sottolineo sospetti) su un tot di corridori. Non faccio i nomi, non sono i nomi che interessano: è la sostanza della cosa, che conta molta di più. Inflessibili e rigorose - qualcuno dice pure troppo -, le squadre del Pro Tour si riuniscono poche ore prima del via e cacciano fuori i sospettati (e sottolineo sospettati). Però, dico io, e forse anche qualche altra anima candida: belle severe, queste squadre della serie A. Fanno sul serio. Vanno già dure. In emergenza come siamo, a mali estremi si reagisce con estremi rimedi. Discutibile sin che si vuole, soprattutto da parte dei garantisti, è comunque una linea.
Sì, proprio una bella linea. Contorta, aggrovigliata, fortemente sospetta. Sempre fermandoci al passato: un corridore di primo piano della nazionale azzurra, e anche qui non ripropongo il nome perché non è il nome ad interessare, viene raggiunto da un avviso di garanzia (e sottolineo avviso di garanzia, cioè una cosa ufficiale, scritta su carta) dalla Procura di Bergamo, eppure il corridore gareggia tranquillamente nel Mondiale, senza che la sua squadra, iscritta al Pro Tour, tra l’altro una delle più ferme e inflessibili, senta il bisogno di riaprirsi il codice etico e soprattutto di applicarlo.
Fermiamoci a queste incongruenze. Non facciamola lunga. Bastano e avanzano per spiegare il senso di pena che sorge spontaneo davanti a un codice tanto sbandierato, quanto sgangherato e vilipeso. È chiaro: non esiste etica senza giustizia. Non esiste etica senza equità. Invece questi signori del Por Tour, così ho capito io, la vedono in tutt’altra maniera. Vedono il codice etico come vedono il prelievo fiscale: inflessibile e rigoroso finchè viene applicato sulla concorrenza, ma flessibile, elastico, pieno di sfumature e di distinguo quando si tratta di applicarlo in casa propria. È chiaro, così non sta bene. Non c’è niente di più odioso di una regola che funziona a giorni e a facce alterne.
Tanto si è discusso, soprattutto su questo giornale, che tra parentesi mi sembra l’unico luogo dove davvero si cerchi di ragionare sulla questione, tanto si discute - dicevo - su quale debba essere la discriminante capace di far scattare l’esclusione del corridore, così da aggiungerla a chiare lettere in un codice etico oggi troppo vago. Il sospetto, si dice, è un po’ poco. Il sospetto è labile, il sospetto può essere veleno messo in giro ad arte da avversari carogne. Condivido. Serve qualcosa di più certo e di più concreto. Qualcuno dice debba esserci almeno un avviso di garanzia, qualcosa che insomma certifichi l’evento inquietante della magistratura al lavoro su tizio o caio. Altri ancora, i più morbidi, vorrebbero che le squadre fermassero solo i corridori colpiti da un rinvio a giudizio, cioè dalla certezza di finire comunque sotto processo.
Sono tutti ragionamenti dignitosi e rispettabili. Personalmente, visto il clima irrespirabile di questa era ciclistica, sarei per una certa severità, cioè per escludere i corridori colpiti da avviso di garanzia. Non è una condanna, lo sappiamo tutti: però, a titolo precauzionale, come segnale di trasparenza, si ferma il corridore fino a quando non avrà dimostrato la sua estraneità, o magari venga addirittura archiviata la sua posizione. In ogni caso, altre strade sono possibili. Purchè si faccia chiarezza, purchè si scriva nero su bianco, purchè si esca dal libero arbitrio e dal doppiopesismo di questi tempi.
Sono in grado, hanno voglia le aristocratiche squadre del Pro Tour di andare fino in fondo? Di tenere la barra ferma, di sposare la giustizia giusta, senza calcolare ineteressi di bottega e piccole convenienze? Oppure preferiscono proseguire così, un tanto al chilo e vinca il più forte? A loro rivolgo un sommesso appello, anzi un piccolo consiglio: datevi una mossa, date un segnale di serietà. Altrimenti cambiate tranquillamente strada. Fate un codice estetico, fate un codice dietetico, ma per piacere non parlate più di codice etico.
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