Faccio subito una doverosa promessa: non mi addentrerò nemmeno di un millimetro nell’insidioso e oscuro territorio dei regolamenti ProTour. Per avventurarsi in una simile jungla serve un armamentario di cui sono assolutamente sprovvisto, nonostante abbia più volte cercato di attrezzarmi: il problema è che simili esplorazioni sono consentite a pochi fenomeni, i pochissimi che hanno la costanza, la dedizione, e un po’ anche il masochismo per tener dietro ai mille arcani di una normativa sempre più cervellotica. Se devo dire, di questi superuomini io ne conosco personalmente solo uno: si chiama Pier Augusto Stagi, casualmente è il direttore di questa rivista. Posso testimoniare che lui è veramente uno dei più attrezzati sulle evoluzioni - e soprattutto sulle involuzioni - del famigerato progetto ProTour, da tutti noi conosciuto come la necessaria rivoluzione del ciclismo, ma col passare dei mesi sempre più simile a una bella idea abortita. Col permesso di Stagi, al quale giro tutti i quesiti tecnico-regolamentari eventualmente sollevati dalla popolazione smarrita, io voglio solo soffermarmi un attimo sugli effetti pratici ed evidenti che contempliamo a stagione ormai avviatissima.
Allora, sempre che non mi sfugga un dettaglio recentissimo: la gloriosa stagione 2006 ci presenterà praticamente una casbah di corse, di squadre, di punteggi che soltanto una mente fortemente turbata, però imbottita di extasy, avrebbe anche solo potuto concepire. Da una parte il prestigioso ProTour, spacciato alla nascita come la Serie A, o la Champion’s League, o la Formula 1 della bicicletta. Immaginato come un supercalendario con tutte le più grandi corse e con tutte le migliori squadre, cioè come una cosa bella e logica, dopo lunghi travagli si presenta come una inquietante caricatura. Praticamente saremo chiamati ad appassionarci per il Giro di Polonia, e poi chissà, per un prossimo Tour del Guatemala in via di preparazione. Il Tour de France? Il Giro d’Italia? La Liegi-Bastogne-Liegi e il Lombardia? Corsette minori, fuori dal calendario nobile. Il ProTour non le contempla. Sono fuori, perché fuori sono i rispettivi organizzatori, a loro volta convinti di allestire una classifica a parte, facendo a meno dei fregi ProTour. Due mondi separati e in totale conflitto: questo sono stati negli ultimi mesi, e ancora sono, e chissà fino a quando saranno, le due anime del grande ciclismo. Da una parte l’alta burocrazia Uci, che vuole dare prova di forza, andando avanti imperturbabile per la sua strada, con un ProTour a prescindere. Dall’altra i grandi organizzatori delle corse vere, felicissimi di affrontare la prova di forza, proseguendo come sempre sul proprio percorso di contratti fatti in casa. Non è ciclismo: è un simpatico torneo di torte in faccia.
Eccoci così a metà strada tra il grottesco e il ridicolo. Di tutta la febbrile opera ideativa degli ultimi anni, questo è il risultato pratico: i tifosi non capiscono più un tubo e giustamente non sanno di che si sta parlando. Se si prende una qualunque corsa, nessuno sa dire chi la correrà e a che cosa servirà. Forza, facciamo una prova: davvero sappiamo dire a che titolo si gareggerà nel Giro delle Fiandre o nel Giro di Svizzera? È confermato: noi del ciclismo siamo insuperabili nel prenderci a martellate sugli zebedei. Neppure il calcio, impegnatissimo in una forsennata opera di autodemolizione, riesce a lavorare così bene. Certo l’Uci e gli organizzatori dei grandi Giri sono pronti a inondarci di logiche spiegazioni e di buone ragioni, per convincerci su chi abbia ragione e su chi abbia torto. Ma con tutto il rispetto siamo in grado di risparmiare loro la fatica: basta, di spiegazioni e di cavilli non se ne può più. Si ripresentino quando avranno trovato una soluzione, se mai la troveranno.
Nel frattempo, tutti quanti noi prenderemo le nostre brave contromisure. Ci limiteremo a seguire i corridori nelle corse che più ci interessano. Come sempre, senza minimamente arraparci per maglie, punteggi, classifiche. Tiferemo dalla Sanremo al Lombardia, passando per classiche del Nord, Giro, Tour e Mondiale. Guarda caso, faremo esattamente come facevano i nostri nonni, molto prima delle riforme e dei riformatori. Proprio un risultato eccezionale: rifugiarci nella semplificazione del passato, in fuga dai creativi e dalle loro farneticanti creazioni.
E il ProTour? Vai a sapere. Da come sta messo, ha tutto l’aspetto della creatura mostruosa e patetica. Di pura fantasia, con il vuoto dentro, senza niente sotto. Un paragone? L’unico che mi viene è quel “Campioni” di televisiva memoria, dove i calciatori immaginano di essere Maradona, dove Ciccio Graziani con occhiali da intelligente immagina d’essere un allenatore, dove i tifosi immaginano di fare le formazioni e il calcio-mercato. Risultato? Lo sanno tutti: “Campioni” ha le ore contate.
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