Le novità arrivano una alla volta, centellinate, anche perché il lavoro di mosaico è arduo e complicato. Seguendole ad una ad una, si rischia però di perdere la visione d’assieme, cioè il significato più importante dell’opera completa. E allora, a costo di fare della bassa piaggieria, voglio farmi avanti con una pagella preventiva sull’appuntamento che ci si sta avvicinando a grandi passi (alpini). Deciso, senza false prudenze e stupide titubanze: voto dieci, non uno di meno, al Giro d’Italia 2006, primo dell’era Zomegnan.
Come le belle case di una volta, questa creatura è nata con solide fondamenta. Cioè prima di tutto con un grande percorso (unico neo, la totale assenza del Sud: ma questa, lo confesso, è una lagna molto personale, perché adoro le tappe soleggiate e polverose negli ultimi luoghi incontaminati del Paese). La sostanza tecnica e anche paesaggistica del tracciato è di altissimo livello, con un ruolo decisivo alla montagna, e in questa montagna con la giusta alternanza tra salite innovative (tipo Plan de Corones) e inimitabili griffe made in Italy (Mortirolo). Però tutto questo è soltanto il fondamento, o se vogliamo il grande palcoscenico. Sono sincero: alla presentazione di novembre, io per primo ho subito rotto l’anima sostenendo che un simile palcoscenico senza adeguati primattori era letteralmente sprecato. Con tutto il rispetto, il timore di ridurci ad una sfida Simoni-Rujano, pure di buon livello, induceva a concludere che no, quelle solide e perfette fondamenta non potevano bastare. Serviva dell’altro.
Giorno dopo giorno, il resto è arrivato. Petacchi s’è rimangiato la minaccia di diserzione, assicurando comunque il meglio a livello sprint. Quindi, ecco l’adesione di Basso, il classico colpo di teatro. Poi, a quanto pare, addirittura Ullrich. Un tassello alla volta, l’opera arriva a compimento e consente già da ora di esprimere giudizi di ammirazione. Non bisogna esitare con le felicitazioni: dopo una lunga era di soggezioni, di pudori, di complessi d’inferiorità nei confronti dei mega-Tour di Armstrong, siamo ormai al punto che il Giro è assurto allo stesso livello della gloriosa corsa francese. Non per fatturato (la differenza è ancora enorme), ma certamente per contenuti tecnici e attendibilità dei risultati. Mortirolo e Basso, questi i due colpi di tacco che impongono soltanto complimenti nei confronti del Giro 2006. Più il resto, cioè gli altri tapponi e gli altri campioni, da Simoni a Cunego, da Savoldelli a Ullrich, da Di Luca a Rujano, da Bettini a Zabel, da Petacchi a McEwen. Tutto questo proprio mentre il Tour perde il colpo di tacco che ha incantato la platea per sette anni, cioè Armstrong.
Se dopo tanto tempo non dobbiamo più abbassare lo sguardo di fronte ai francesi, se davvero questa volta il Giro “vale” il Tour (tecnicamente, per me vale anche di più), il merito è delle coincidenze storiche (la fine dell’inimitabile romanzo giallo di Armstrong), ma anche della fattiva opera degli uomini. In primo luogo di Angelo Zomegnan, il nuovo capo. E allora riconosciamolo sportivamente, diamogli atto di aver dato la grande spallata. Lo so: il vecchio Angelo ha un carattere ispido, non è tipo da passare alla storia come forlaniano prudente, quando vuole recita a meraviglia il compiaciuto ruolo del grande antipatico. Però tutto questo non c’entra. Almeno per tutti quanti noi, che non lavoriamo nell’orbita del Giro e che possiamo permetterci di giudicare solo i risultati. Se vogliamo essere giusti, come tante volte abbiamo polemizzato sui risultati mediocri, adesso dobbiamo riconoscere il grande risultato. Di più: da tifosi, possiamo persino dire un grazie. In questo caso, ovviamente, a Zomegnan. Io non ho problemi. Da tifoso del Giro, lo dico molto volentieri. Sperando di dirlo puntualmente anche negli anni a venire. Grazie Angelo.
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