Non so se queste cose ormai le noto soltanto io, che contro le gran fondo ho sviluppato una fobìa preoccupante e magari un po’ senile (ovviamente parlo delle gran fondo così come le hanno ridotte, non certo di come sono nate). E comunque, anche se a tutti il fenomeno sembra tranquillo e normale, anzi da applausone e festeggiamenti, io quanto meno voglio farlo notare: dall’inizio dell’anno, tutte le più importanti manifestazioni del settore sono vinte da un nuovo cannibale. Si chiama Rumsas. Dice qualcosa, questo nome?
Doverosa premessa: non ho nulla di personale contro Rumsas. Della sua storia, ricordo soprattutto la pena che mi fecero i suoi bambini, con la mamma vergognosamente trattenuta in una galera francese e il papà completamente in bambola per l’inchiesta antidoping. Se adesso, persi tutti i contratti nel mondo del professionismo (dovrebbe essere così per chiunque cada nella rete), ha trovato questa via d’uscita delle gran fondo, buon per lui. Il problema non è lui. Rumsas fa bene a fare quello che fa. Se può farlo. Il mio rilievo - una semplice questione di opportunità, di buon gusto, di buon senso - è indirizzato a chi glielo fa fare. Ma davvero questi signori delle gran fondo, e con essi i dirigenti nazionali, gli sponsor prestigiosi, nonché i geni degli uffici marketing, non avvertono il minimo disagio in questo andazzo incredibile, con un Rumsas che sta vincendo tutte - dico tutte - le loro manifestazioni? Ha vinto la Nove Colli, ha vinto la “Gimondi” (caro Felice, almeno tu: ne sei davvero felice?), ha vinto la “Barilla”. Poi magari gli strateghi pubblicitari di grandi aziende come quest’ultima consigliano al padrone di non entrare nel ciclismo professionistico per evitare danni d’immagine. Complimenti, avanti così: legate il vostro marchio alle poetiche e romantiche gran fondo dominate dai Rumsas…
Voglio tranquillizzare il paziente pubblico: non ho la minima intenzione di tramortirlo con discorsi già fatti. Però non posso nemmeno tacere un minimo di polemica. Come semplice pro-memoria, sfido la noia ribadendo una semplicissima opinione: le gran fondo devono fare una violenta frenata, fermarsi un attimo, e poi iniziare una brutale retromarcia. Verso dove? Ma verso le proprie origini. Non è concepibile, non è tollerabile, anzi è uno sconcio, che simpatiche famiglie e attempati Prodi debbano misurarsi con questi reduci assatanati. Le gran fondo non possono essere il dorato esilio degli ex professionisti, mezze tacche o mezzi chiacchierati che siano. Se costoro coltivano velleità inespresse, vadano a misurarsi nell’Udace, che fa gare vere. Oppure, che vadano una volta tanto a lavorare. Anche solo per provare che cosa sia la vita vera, giù di bicicletta.
Dicono gli organizzatori: e come facciamo a rifiutare un’iscrizione? Io ho una risposta banalissima: basta rifiutarla. Magari motivando. Poi voglio vedere chi ha il coraggio di imporre per decreto la presenza di questo o di quello. Sarebbe persino eccitante: almeno, una volta tanto, facciamo esplodere il bubbone.
Purtroppo, non bisogna coltivare speranze inutili. Ipotizzare che gli organizzatori ritrovino il gusto del pudore e della dignità è completamente fuori luogo. Basta vederli: sono tutti felicioni, quando annunciano nei loro comunicati stampa le prestigiose presenze dei celebri (?) ex. No, sono persi. Definitivamente. C’è una sola via d’uscita: la solita, già ampiamente illustrata, peraltro regolarmente inascoltata. Chi comanda stabilisce una nuova regola, semplice semplice: non esiste ordine d’arrivo. Non vince nessuno. Tutti primi al traguardo del mio cuore, come scrivevano i lirici di una volta. Sul traguardo, caso mai, si preleva soltanto un bel bigliettino con scritto il tempo di percorrenza, in modo che ciascuno dei gitanti (sì, dei gitanti: così vanno definiti) possa misurarsi rispetto all’anno prima, o rispetto all’amico staccato sull’ultima salita, nel simpatico gioco della deficienza senile, o giovanile, o familiare. E i premi? Se l’illustre sponsor vuole proprio lasciare il segno, alla fine grande distribuzione di magliette, o di ceramiche, o di culatelli doc. Per tutti, il primo uguale all’ultimo. E i poveri Rumsas? Dovranno farsene una ragione. In fondo, la grande occasione della vita l’hanno avuta in gioventù: l’hanno sprecata, non possiamo sentirci in colpa noi.
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