Caro cittì Franco Ballerini, non so se questa vada considerata una lettera aperta: diciamo che è un sommesso consiglio personale, ma di dominio pubblico perché la questione investe e riguarda un po’ tutti quanti. Certo se ne sarà accorto: attorno alla sua ammiraglia azzurra sta tirando un’aria strana. Purtroppo, non è di quegli spifferi che si possano eliminare semplicemente alzando il vetro del finestrino. Questo è del genere che si insinua da tutte le parti, senza possibilità di evitarlo: fuori, sono in troppi a soffiare.
Il vento s’è alzato subito dopo l’elezione di Renato Di Rocco a presidente federale. Per lei, commissario tecnico scelto dal detronizzato Ceruti, sono cambiate parecchie cose. Più che altro, si trova davanti - o dietro... - una pletora di gente, soprattutto suoi vecchi colleghi di corsa concentrati nel Triveneto, pronta a presentarle il conto. Il discorso è abbastanza semplice: in Italia, chi vince un’elezione vuole prendersi tutto. E soprattutto, non vuole fare prigionieri. Che questo succeda alla Rai o nelle nomine pubbliche, passi. Ma che succeda anche nel ciclismo, fa un po’ senso. Eppure, sta succedendo proprio questo. Quelli che hanno mandato a casa Ceruti, adesso vorrebbero mandare a casa anche lei. La colpa? Non certo le sconfitte: in fin dei conti, lei ha vinto un Mondiale con Cipollini e un’Olimpiade con Bettini, in una gestione ancora brevissima. No, deve pagare il suo peccato originale: era uno di Ceruti, dicono quelli saliti sul carro del nuovo vincitore. Aggiungici poi la sempiterna invidia di chi si sentirebbe in diritto d’essere al suo posto, quell’invidia vero motore del mondo, e l’atmosfera che la circonda è già raccontata.
Che succederà, allora? Certo basterebbe che il presidente Di Rocco la blindasse al suo posto, perché le discussioni e le trame di corridoio si chiudessero qui. Ma il nuovo presidente non può. Mandare a casa Ceruti s’è rivelata impresa ardua: per riuscirci, ha dovuto ingraziarsi un sacco di gente. Adesso, sono tutti fuori dalla porta col cappello in mano, convinti che Di Rocco debba restituire qualcosa. Tra le altre cose, un nuovo cittì. Basta con l’odiato Ballerini, l’uomo di Ceruti, l’uomo Mapei, l’uomo che addirittura ha osato andare per la sua strada davanti ai travagli di Rebellin (a proposito: di che nazionalità è, attualmente?). No, Di Rocco non è in condizione di sbattere la porta in faccia alla fila dei questuanti. Al massimo, può garantirle il posto fino al prossimo Mondiale di Madrid. Ma questa non è neppure una scelta coraggiosissima: vorrei vedere chi avrebbe la faccia di cambiare subito, oggi, un Ballerini dal bilancio largamente in attivo. Però attenzione: il giorno dopo Madrid, se per caso l'Italia perderà, si prepari al tiro al piccione. Naturalmente, a lei toccherà il simpatico posto del piccione.
Preferisco parlare adesso della questione, perché dopo sarebbe troppo facile. E poi perché c’è in gioco una semplice questione di giustizia. Personalmente, anche se non sono suo fidanzato, anche se non siamo mai andati in vacanza assieme, non trovo serio metterla in questa situazione. Sì, certo, cittì confermato: ma in attesa del primo passo falso, così da farle pagare i suoi trascorsi cerutiani. A tale proposito, voglio dirlo chiaramente: anche se sto con Di Rocco, trovo edificante e civile che lei abbia mantenuto col presidente di prima un legame corretto e leale, senza rinnegarlo la mattina dopo il siluramento. In un Paese che si segnala per opportunisti, zerbini e voltagabbana, ha dato una dimostrazione di serietà. Così come adesso fa bene a continuare imperterrito il suo lavoro, perché lei non è il cittì di questo o quel presidente, non appartiene a questa o a quella banda, ma semplicemente è un tecnico della nazionale italiana. I tifosi, l’azzurro, la bandiera: questi sono i veri padroni di un cittì...
Ovviamente, non tutti la pensano così. Tra quelli che hanno appena vinto, o ritengono di aver vinto, c’è una gran fretta di regolare la questione. I suoi risultati? Tranquillo, non contano. Certi suoi ex colleghi hanno già la risposta pronta: col Cipollini di Zolder e col Bettini di Atene avrebbe vinto chiunque. Ovviamente, la sua mano s’è sentita nelle sconfitte. Tranquillo, saranno prontissimi anche a Madrid: se vincerà Petacchi, sarà ovviamente la scontata vittoria del più forte. Se perderà, la colpa sarà di Ballerini che non l’ha messo nelle condizioni di vincere. E via col processo. E via con la condanna. C’è già la lista dei nomi pronta: Cassani, Argentin, Fondriest. Toccherebbe a Silvio Martinello, nuovo coordinatore azzurro, indicarle la porta (a proposito: sinceramente non mi è piaciuta l’uscita di Martinello - Ansa, aprile - che spiega la strategia della nazionale a Madrid: è una sgradevole invasione di campo, in fondo un cittì l’abbiamo ancora...).
Caro Ballerini, sono al sommesso consiglio di cui le parlavo all’inizio. Così - chiunque lo può capire - non è vita. Stanno preparandole un bel trappolone. Praticamente, una roulette russa al contrario. Per salvarsi, un solo colpo a disposizione: vincere Madrid. A quel punto, certo, sarebbe più difficile silurarla. Ma sa che le dico io? Proprio a quel punto, dopo aver vinto, se mai vinceremo, li guardi tutti dritti negli occhi. Poi, dignitosamente e irrevocabilmente, sia lei a salutarli.
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