Editoriale

SONO QUI CHE ASPETTO. È davvero singolare che domenica 13 marzo, giorno delle elezioni federali, La Repubblica se ne sia uscita con un richiamo in prima pagina («Il diario del mio doping», il titolo) e all’interno con una paginata intera a firma Eugenio Capodacqua sugli appunti di un misterioso ex professionista A.T., oggetto di un’inchiesta ancora in corso, che ha militato in squadre molto importanti, per poi passare nei ranghi dei cicloamatori, e finire nella rete di uno dei tanti sequestri dell’inchiesta denominata “Oil for drug” del maggio 2004. «Nonostante il ricorso massiccio a qualcosa come 27 tipi di farmaci diversi, A.T. non riesce ad emergere», per la serie un asino non può diventare un cavallo, ma il punto non è questo, è un altro.
Ci inquieta la coincidenza di questa pubblicazione. È davvero singolare che questa inchiesta esca proprio il giorno dell’elezione di Renato Di Rocco, dopo otto anni di potere Ceruti. È singolare che Marco Toni, il designato successore di Ceruti designato da lui medesimo, si conceda salutando il nuovo che avanza con un poco signorile e alquanto infantile «viva il doping». Per la serie: avete voluto Di Rocco? Ricostruite pure la Prima Repubblica, quella della chimica e dei risultati sospetti. Dimenticandosi che fino a prova contraria e fino a conclusione delle indagini, Ceruti è inquisito al pari del suo braccio destro il consigliere Maurizio Camerini con accuse pesanti. Cito L’Espresso del 10 giugno 2004 («Buchi neri su due ruote»). Al consigliere Camerini, «i reati ipotizzati vanno dalle false comunicazioni sociali, all’associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata, fino al peculato e alla concussione». E ancora: «Salce, già marciatrice di livello internazionale e poi ciclista nelle categorie master, ha accusato Camerini di averle offerto eritropoietina (la famigerata Epo) per “essere competitiva”».
Accuse tutte da verificare, ma se proprio vogliamo, la Federazione che rischia di rimanere con le mani sporche di doping è quella di Ceruti. Ma torniamo a Capodacqua e alla rivelazione del diario di A.T.. La cosa singolare è che Capodacqua, collega preparatissimo in materia, concentri le sue attenzioni solo al ciclismo, mostrando non poche amnesie e distrazioni. Ad esempio non ha mai scritto di un’interpellanza parlamentare (seduta numero 652 del 3 agosto scorso), fatta da una serie di senatori diessini, i quali hanno cercato di fermare (e in pratica sono riusciti) le indagini della Guardia di Finanza sull’affaire Ceruti e Camerini e condotte dal vice-brigadiere Luigino Lambranzi. A domanda, davanti a testimoni in occasione del campionato del mondo dei giornalisti tenutosi a Veronello, ritiro del Chievo calcio, lui si giustificò con imbarazzo: «Come potevo, sulla Repubblica?...». A quel punto proposi ad Eugenio una collaborazione: «Visto che sei la persona più autorevole che io conosca in materia di doping, ti concedo tutto lo spazio che vuoi su tuttoBICI...». Sono ancora qui che attendo il suo pezzo.
Che dire? Come è dura la lotta al doping, anche a livello giornalistico. Come è dura quando si hanno un presidente sindacalista della FIOM a capo della Federciclismo, un gruppo di senatori diessini che si adoperano per lui, un quotidiano politicamente vicino agli uni e agli altri. Vogliamo corridori disposti a parlare e poi c’è chi non se la sente di scrivere: per le stesse logiche.

NO, IO NO. La notizia ci è rimbalzata proprio quando tuttoBICI era in chiusura: Gattuso e Pancaro, giocatori di Milan e Nazionale, dopo la gara dell’Olimpico contro la Roma, hanno rifiutato di sottoporsi all’esame incrociato sangue-urine. Singolare la giustificazione fornita dal medico del Milan Massimiliano Sala. «Prima osservazione: l’esame del sangue non è obbligatorio; seconda osservazione: l’esame del sangue non è finalizzato alla ricerca del doping ma solo e soltanto per monitorare i parametri tradizionali, emoglobina ed ematocrito; terza osservazione: se questi valori sono fisiologici si procede regolarmente, altrimenti, come nel caso in questione, il controllo sulle urine viene realizzato in modo più sofisticato».
Discorsi, sempre gli stessi. E anche noi ci ripetiamo: siamo stufi di vedere applicata la logica dei due pesi e delle due misure nello sport professionistico. Petacchi vale Gattuso, come Maldini vale Cunego. Tutti sono professionisti. La Wada, gli organismi mondiali hanno l’obbligo e il dovere di armonizzare questi regolamenti, rendendoli uguali e credibili per tutti. Marinangeli alla Coppi & Bartali ha dovuto sottoporsi al prelievo ed è stato fermato per ematocrito fuori norma, Gattuso e Pancaro hanno deciso di lasciare più “materiale organico” perché avevano fretta di tornarsene a casa. Nel calcio possono dire «no, io no». Nel ciclismo chi si rifiuta viene considerato «positivo» e sanzionato secondo il regolamento antidoping. Per la serie: nel ciclismo i Marinangeli vengono trovati perché si sottopongono ai controlli. Fate come i calciatori: provate a dire, tutti assieme, almeno una volta «no, io no». Poi vediamo come va a finire. Mi sembra già di sentire Gianni Petrucci.

PARLATEVI, ASCOLTANDOVI. Il calendario troppo folto, i diritti tivù promessi che non ci saranno, la diatriba con i tre Grandi Giri, l’esigenza di creare un meccanismo di promozione e retrocessione, le troppe licenze distribuite, i punteggi che non convincono, la maglia di Pro Tour che va a coprire quella di campione del mondo: questo Pro Tour non poteva partire in maniera più sofferta. Regna il caos. Verbruggen pensa e dice di andare avanti anche senza i tre Grandi Giri, sapendo benissimo che non è possibile. Così come i tre Grandi Giri, che se decidessero davvero di andare per la loro strada, decreterebbero uno scisma irreparabile: uscirebbero dall’Uci, quindi dal CIO, quindi dal giro degli sport olimpici. Fine, sarebbe la fine.
Il dramma è che si è tanto parlato e si è scritto molto poco in questi mesi. E quel poco che è stato messo nero su bianco è stato scritto male. Dovevamo arrivare alla Tirreno per scoprire che a Freire, il campione del mondo in carica, tocca disputare la Sanremo con la maglia Pro Tour e non con quella iridata.
E che Petacchi con un secondo posto ottenuto nella classifica generale della Tirreno ha raccolto in un sol colpo 40 punti, e per rifarne altrettanti, dovrebbe vincere 13 tappe nei tre Grandi Giri: c’è proporzione fra i due bottini? Dettagli, certo, ma fino ad oggi trascurati, che la dicono lunga su cosa si sia fatto in questi mesi. Ci sono troppe cose da sistemare e il nostro timore è che ognuno sia accecato dai propri interessi e dal proprio orgoglio personale. È importante che l’Uci, i Grandi Giri, le squadre si parlino, ma è fondamentale che incomincino anche un po’ ad ascoltarsi: per il bene di tutti. Per il bene del ciclismo.
Pier Augusto Stagi
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