Dall’altare alla polvere, ma bianca. Sembra questa la trama ormai scontata di tante belle epopee personali, ramo ciclismo: sì, proprio qui, nel mondo arcaico e primitivo della bicicletta, che per un secolo i cantori ci hanno dipinto come zona franca senza vizi e senza piaceri, tutto dovere, tutto fatica, tutto rigore e serietà. Come ha detto su questo giornale il papà (ex-campione) di un ragazzo trovato positivo alla cocaina, anche questo è un segno dei tempi: chi è che al giorno d’oggi non tira un po’ di polvere, giusto per uccidere la noia e uscire dalla monotonia degli allenamenti? Sì, dico a lei, signor operaio dell’Ansaldo che mantiene tre figli a un milione e otto al mese: chi è che al giorno d’oggi non tira un po’ di coca?
Caro, vecchio ciclismo: travolto dal segno dei tempi. Una volta contadino e affamato, il corridore si ammazzava per farsi una casa. Adesso che girano i soldi, c’è chi pedala per farsi. La casa, la macchina, i telefonini: tutto abbastanza acquisito. Oggi la nuova frontiera è il piacere della notte, al passo con una società vuota e sbracata che sogna solo di trasformare le figlie in veline e i figli in tariconi. Su tutto, l’ambizione suprema: imbucarsi un giorno o l’altro in una bella festa al Billionaire di Briatore, là, sulla Costa Smeralda, dove si raduna d’estate l’Italia dei coatti d’alto bordo. E i ciclisti? Perfettamente in linea. Senza parlare di polveri bianche, basta parlare di edonismo allo stato brado. O comunque di effimero spinto e godereccio. Devo fare qualche nome? Non c’è problema. Ce lo ricordiamo che razza di talento era Vandenbroucke? Rovinato da una vita quanto meno disordinata. Poi, a seguire, tutta una costellazione di star più o meno vittime di se stesse. In un certo senso, ci metto ovviamente anche Pantani, che ha smesso di essere Pantani proprio quando ha cominciato ad avere troppi grilli per la testa, lontanissimo parente del ragazzo un po’ casinaro, comunque lambrusco e piadina, della sua adolescenza. E avanti, fino all’ultima frana: Jan Ullrich, il tedesco che si riteneva quadrato e inossidabile, al limite con qualche perversione alimentare, salvo scoprire ultimamente la sua doppia vita, tra depressioni e azzardi notturni. Se cade anche il wurstelone, come si può pensare che il ciclismo sia ancora sport di duri e puri?
Devo dire la verità: questo crollo di Ullrich, reo confesso - diciamo così - di compagnie equivoche e trasgressioni serali, non mi sorprende del tutto. Qualcosa mi era capitato casualmente di capire nell’ottobre scorso, la sera del campionato del mondo di Lisbona. A lavoro ultimato, intorno alla mezzanotte, cercavo con gli amiconi Angelo Costa e Pier Augusto Stagi una trattoria per mangiare qualcosa lungo i graziosi moli del porto. Ad un certo punto, la tranquillità del posto viene scossa da una certa agitazione. Ma tu guarda: Ullrich. Avvolto in un impermeabilone di pelle, beve birra, intona cori, molla pacche come badilate sulla schiena degli amici. Vogliamo dire che è brillo? Almeno un po’. Col passare della birra, sempre un po’ di più. Improvvisamente, si alza e si dirige con traiettoria zigzagante verso un vicino pub, dove intavola una trattativa con la cameriera aldilà del bancone. Dopo qualche minuto, lui allunga un bigliettone, lei gli rilascia una scatola di sigari. Il vecchio Jan è raggiante: se ne accende subito uno che manderebbe in estasi Monica Lewinski, quindi si ributta nella mischia offrendone con decisione agli amici, anche e soprattutto a quelli visibilmente più restii.
Per l’amor di Dio: niente di scandaloso. Ma già quella sera mi crollò l’idea che mi ero fatto - chissà poi perché - del campione tetragono e persino troppo serioso. Qualche mese dopo, una conferma ben più inquietante: doping, pastiglie strane, serate folli. A conferma che ormai il ciclismo non è più lo sport dei seminaristi che fanno voto di sobrietà, ma uno dei tanti strumenti che servono per arrivare alla bella vita. E ha voglia Cipollini di dire che nessuno capisce più questo mondo di indefessi faticatori. Che cosa dovremmo capire, se ad uno ad uno i volti più rappresentativi - i cosiddetti modelli per la gioventù - si fanno pescare in bagordi e baccanali? Via, caro Cipollini: proprio lei pretende d’essere considerato un mezzo minatore, lei che passa da un party a una sfilata, da un cocktail a un telequiz? Se vogliamo dire che non è più tempo per un ciclismo monastico e asessuato, diciamolo: è giusto, i giovani d’oggi scelgono i ritmi e i miti di oggi. Però allora piantiamola di pretendere il rispetto che c’era una volta, quando davvero il ciclista era visto come umano d’una razza speciale: caro Cipollini, lo era anche perché si allenava sette ore al giorno e andava a letto dopo Carosello.
Poche chiacchiere: tutti in discoteca, tutti a tirar mattina. Non c’è problema, è il segno dei tempi. Mettiamoci anche il sigarone e magari una sniffata ogni tanto. Però, se è permesso, piantiamola di recitare la parte dei fachiri. Diciamo apertamente che al calcio invidiamo sì le attenzioni popolari e gli ingaggi, ma anche i quattro salti e le donnine compiacenti nei night milanesi frequentati dai Vieri e dai Pippi Inzaghi. Discorso a parte, caso mai, va fatto sulle squadre. Davanti al nuovo trend - dal vocabolario della notte - c’è società e società: c’è quella di Pantani che ancora oggi lo coccola e lo giustifica, c’è invece la Telekom - compagni e dirigenti - che prende le distanze da Ullrich e anzi lo vorrebbe malmenare per i danni causati dalla sua dolce vita. Mi schiero: anche se non è in linea coi tempi, sogno un ciclismo pieno di Telekom.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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