Editoriale
MAPEI. Ha gettato la spugna. Ha deciso di alzare bandiera bianca, e sono in molti a festeggiare l’avvenimento. Noi, no. Ci spiace per il ciclismo, che perde una società di riferimento, un esempio di organizzazione e stile, una struttura da imitare ma troppo spesso emarginata. Questa uscita è la sconfitta di un modello, costruito sulla serietà e la coerenza. Ma è anche la fine di un’utopia: la fine di un progetto lasciato incompiuto, quello appunto di un ciclismo basato sulla trasparenza e la credibilità. Finisce un ciclo. L’augurio è che un giorno il ciclismo possa tornare ad avere tante altre Mapei, magari la Mapei stessa, ma il timore è che il nostro adorato sport torni invece ad essere animato da squadre pataccare, quelle da qualche Euro al centimetro quadrato, dove i corridori pagano per correre e il «Prosciuttificio Ghisleni» ha le sue belle soddisfazioni.

CIPOLLINI. Lascia, non lascia: forse resta. Questi alla fine sono dettagli. Quello che ci dispiace è che abbia ricoperto di ridicolo il nostro ambiente. Gli sponsor non entrano? Beh, se dipinge il mondo del ciclismo come sport di ebeti e sottosviluppati, forse un perché c’è. Per non parlare poi dei continui riferimenti ai calciatori e al mondo del calcio. Loro, ci risulta dalle cronache di queste settimane, stanno correndo ai ripari e parlano chiaramente di tagli e riduzioni salariali (anche il sindacato dei calciatori è d’accordo). Lui, che i calciatori li frequenta, a quanto pare non si è accorto ancora di nulla. In compenso chiede più soldi e più attenzioni: bravo a scegliere il tempo per le volate, un po’ meno i tempi per le sue rivendicazioni.
Piuttosto abbiamo l’impressione che a Mario il ciclismo non interessi più. È il mondo del Grande Fratello che lo solletica: quello dei Saranno Famosi e del Maurizio Costanzo Show. Lui è popolarissimo nel vasto pubblico televisivo, che non conosce il ciclismo, che non compra biciclette, che nulla ha a che vedere con il nostro mondo. Piace alle casalinghe di Voghera, molto meno a chi il ciclismo lo pratica con semplicità e passione.

PANTANI. Assolto dalla giustizia sportiva, ma per quella ordinaria è ancora indagato. L’odissea giudiziaria di Marco Pantani è al primo giro di boa: la Caf della Federciclo lo ha ritenuto non colpevole in merito alla vicenda della siringa d’insulina ritrovata nella stanza 401 del Gran Hotel Francia e Quirinale di Montecatini, annullando la sentenza di primo grado (otto mesi di squalifica) che già aveva fatto uno sconto (ma quanto buon cuore) al Pirata dopo la richiesta di un anno di stop avanzata dalla Procura antidoping. Non si ferma invece la vicenda giudiziaria penale: Pantani resta infatti indagato dalla Procura di Firenze, in base alla legge penale antidoping, all’interno dell’inchiesta aperta dal pm Bocciolini dopo il blitz sanremese al Giro 2001 (quando ci farà sapere qualcosa, in tempi brevi...). E collegata all’inchiesta fiorentina c’è quella di Brescia, che ha portato nei mesi scorsi anche all’arresto di alcuni corridori. Il nome di Pantani è finito anche lì: le cartelle cliniche contenenti i test a cui si sarebbe sottoposto il corridore romagnolo sono state prelevate dagli investigatori sia da un centro medico privato di Brescia, sia nell’abitazione del medico sportivo della Mercatone Uno, il team di Pantani, Mauro Vezzani.
Ma non è tutto. Esiste un conflitto regolamentare, proprio quello che ci vuole in questi casi: l’Uci riconosce il Tas ma non la Caf. Insomma, per il massimo organismo internazionale la decisione presa dalla Commissione d’Appello Federale non ha alcun valore. La «querelle» della siringa di Pantani non si è ancora sgonfiata: urge spillo.

UCI. Il caso di «salbutamolo» di Igor Gonzales de Galdeano ci ha riportato ad una triste e stucchevole realtà: «il doping certificato». Ne abbiamo parlato recentemente al Tour anche con Felice Gimondi, il quale si è detto d’accordo: basta certificati. Chi sta male se ne deve stare a casa. Basta a deroghe permanenti. Se vogliamo proseguire la strada intrapresa verso la trasparenza e la credibilità, questo è un passaggio davvero obbligato.

CALCIO. Il calcio sul lastrico: bilanci in rosso, società sull’orlo del fallimento, plusvalenze a coprire magagne di bilanci in perfetto stile bancarottaio. Tutto detto, tutto scritto, ogni giorno in televisione e sui giornali. La Guardia di Finanza sempre molto pronta ad intervenire per questioni legate al doping nel ciclismo, nel mondo del calcio non si muove. Guai a disturbare il manovratore quando è alle prese con una manovra difficile. Daltronde il calcio è solo un giuoco.

DOPING. Presto di doping non se ne parlerà più. Non perché sarà stato sconfitto, ma perché sarà sempre più difficile stare dietro alla ricerca del doping. È la rivista scientifica francese Sciences et Avenir, nel suo ultimo numero di luglio, a dire ciò che accadrà ai Giochi del 2008. Non è tra l’altro una novità: con la genetica si potranno sviluppare in laboratorio muscoli con fibre lente per chi è impegnato in prove di resistenza o con fibre veloci per chi pratica lo sprint. Con la svolta genetica un atleta non rischierà più di risultare positivo a qualche controllo e per di più i suoi muscoli saranno resistenti agli strappi e ad altri guai. Secondo la rivista francese è già possibile iniettare fattori di crescita nell’uomo e la tecnica del trasferimento di geni per ottenere cellule «riparatrici» di muscoli e tendini è già consolidata. Quindi, state tranquilli: in un futuro molto prossimo non si parlerà più di doping. Gli atleti e i loro scienziati hanno vinto la sfida. La lotta al doping ha definitivamente perso.
Domanda: arrivati a questo punto non è il caso che le componenti dello sport mondiale, dotti, medici e sapienti s’incontrino, discutano sull’argomento, per capire se ha ancora senso proseguire la lotta al doping? Soprattutto: ci sono ancora margini e mezzi per poterla combattere? Non vorremmo che la lotta al doping si limitasse a punire i ladri di polli, mentre i corridori organizzati e muniti di risorse (leggi quattrini), saranno in grado di «allenarsi» geneticamente in laboratorio con gli ultimi ritrovati della scienza. Fino ad ora, possiamo dire di aver assistito ad un doping «democratico», uguale per tutti; da domani (per molti già oggi), non sarà più così.
Pier Augusto Stagi
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