Giustamente alziamo i calici di fine anno alla salute di Damiano Cunego e Ivan Basso, che ci garantiscono una lunga serie futura di belle storie e di emozioni forti. Ma mentre ce ne rallegriamo, mentre ringraziamo le loro brave mamme, non è semplice disfattismo confrontarci con una domanda niente affatto rassicurante: dopo loro due, quanti altri Cunego&Basso riuscirà a costruirsi il nostro ciclismo?
Lo confesso: l’interrogativo non mi si è presentato davanti per puro spirito da bastian contrario o da guastafeste, ma per notizie certe e allarmanti. Da diverse parti, gloriosi dirigenti di società giovanili fanno sapere che caleranno la saracinesca. Oltre ai soldi - lacuna cronica, peraltro sempre superata con la ben nota inventiva - sta venendo a mancare la materia prima: i ragazzini. Il discorso è abbastanza aritmetico: contraendosi il bacino dove pescare, saranno sempre meno i cavedani da portare a casa.
Perché i nostri figli non si danno più alle corse in bicicletta? Se n’è parlato spesso. Alla fine di tutti i discorsi, credo si possano individuare alcune cause fondamentali, che da sole o insieme finiscono per allontanare i giovani cavedani. Causa prima: il traffico. Cioè l’altissima pericolosità ormai assunta da questo sport, soprattutto a livello giovanile. Una volta si saliva in bicicletta e ci si avventurava lungo itinerari sconfinati, adesso i bambini rischiano d’essere stirati già all’uscita dal box. Ovviamente, non possiamo prendercela con i genitori, visto che siamo tutti genitori e tutti quanti viviamo la stessa paranoia: chi se la sente di starsene tranquillo a casa mentre un dodicenne è sulla strada in bicicletta?
Epassiamo alla causa seconda: la bella fama che s’è fatto il ciclismo negli ultimi quindici anni. A forza di sentire in televisione e sui giornali che il ciclismo è il santuario del doping, che il doping comincia prestissimo, già nelle categorie infantili, con allenatori maneggioni subito pronti a porre la famosa condizione (“O prendi questo, o te ne vai”), le mamme giustamente si sono allarmate. Mai più saranno loro ad avviare le creature verso la tana del lupo. Meglio, molto meglio, il calcio all’oratorio, o al limite la scuola di scherma, che tra l’altro fa pure chic.
Infine, la causa terza: gli usi e i costumi di questa età allegra. I papà lavorano per i week-end a Portofino, le mamme per la lampada e il gippone, i fratelli e le sorelle maggiori vogliono fare televisione: perché mai - qualcuno me lo spieghi - un ragazzino di dieci anni dovrebbe sognare di ammazzarsi dalla fatica su un attrezzo che fa sudare, fa male al sedere, e soprattutto non fa diventare come Vieri e Valentino Rossi, cioè molto wow e molto corteggiati dalle Veline. Diciamolo: se in questa cornice sociale un bambino chiede di praticare ciclismo, come minimo i congiunti lo avviano prematuramente dallo psichiatra.
Allora, siamo al capolinea? Cunego e Basso sono gli ultimi figli nostri destinati a lasciare un’impronta nella storia? Evidentemente ho voluto esagerare, perché spesso ragionando in acrobazia sul paradosso ci si intende molto meglio. Ma se molti club gloriosi di alta valle e di estrema provincia stanno per chiudere, mi sembra il caso di affrontare per tempo la questione. In che modo? Devo dire che la fantasia non manca. Girando per qualche convegno, ne ho sentite parecchie. Divulgare un’immagine più positiva dei campioni, entrare con la bicicletta nelle materie scolastiche, allestire piste ciclabili nei grandi parchi, riattivare i vecchi velodromi, in attesa magari di costruirne nuovi. Tutto questo consente certo di riavviare un buon reclutamento. Io però ho anche una certezza: il ciclismo deve scordarsi di lavorare ancora sui grandi numeri, come avveniva fino a trent’anni fa, quando era immane la massa dei praticanti. Il progresso - come lo intendiamo in Italia - gioca totalmente contro l’uso della bicicletta. Diciamo pure che lo bracca e lo annienta (prego, osservare le nostre città). Detto questo, forse i migliori risultati li daranno ancora e semplicemente proprio loro, i Cunego e i Basso: nella stagione mediatica che crea il consenso e lo spirito di emulazione a mezzo video, per molti ragazzini loro saranno uno spot irresistibile.
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