Caro direttore, consentimi di esprimere il più sincero compiacimento per l’onore che mi concedi di scrivere su tuttoBICI. Ci sono momenti - molto frequenti - in cui questo privilegio è impagabile (ti prego soltanto di non prendermi alla lettera e di continuare a pagarmi con la solita puntualità). Il periodo corrente è uno di questi momenti. E sai perché? Perché sul ciclismo si sta abbattendo una vera e propria rivoluzione, un ciclone che non lascerà più niente come prima, eppure, su tanti giornali e nella quasi totalità dell’ambiente, sembra quasi si debba cambiare il colore di una maglia o la misura di una pedivella. Come se niente fosse. Sì, per fortuna c’è tuttoBICI, che sin dall’inizio, dagli albori di questa rivoluzione, ha seguito con attenzione e ha dato il giusto peso al cambiamento epocale. Certo, parlo del ProTour: di che altro si può parlare?
Strana gente, noi del ciclismo. Magari montiamo delle tragedie perché vogliono rendere obbligatorio il casco, cioè una cosa doverosa e normalissima. Poi, quando si decide di buttare giù il Muro di Berlino - questo, più o meno, è il ProTour -, nessuno fa una piega. Non se ne parla, passa tutto sotto silenzio. Meglio: le prime discussioni, i primi strepiti, si avvertono soltanto quando le squadre italiane scoprono che c’è un termine entro il quale iscriversi, presentando rigorosi requisiti, e guarda caso le nostre in regola sono soltanto due. Allora sì, il ProTour diventa argomento di qualche discussione, ma soltanto a livello carbonaro e sindacale: i team manager si trovano, l’Assogruppi dà un impercettibile segnale di esistenza in vita, tanti puntano sulla solita proroga all’italiana, ma, se, però...
Per fortuna, volenti o nolenti, il ProTour - la Formula 1 della bicicletta - si farà. Ai lettori di tuttoBICI, per i motivi che dicevo all’inizio, non servirà certo una mia spiegazione per capire dove andremo a finire, o a cominciare. Io stesso, molte cose le ho imparate su questo giornale. Tanto da farmi la mia personalissima e sindacabilissima opinione. Che qui, senza problemi, espongo in massima sintesi. Semplicemente: viva il ProTour. Con tutti i suoi difetti (come dice Stagi, è una cattiveria impedire a un paio di buone squadrette di salire dalla B, dietro retrocessione di un paio di pessime squadrone dalla A), con tutti i suoi limiti, con tutte le sue zone d’ombra. Ci si può e ci si deve lavorare sopra, e come no. Ma al diavolo tante chiacchiere e tante titubanze sulla filosofia centrale: benvenuto - bentornato - al ciclismo dei grandi confronti e al ciclismo aperto tutto l’anno. Se un tragico difetto ha, questo ciclismo degli ultimi vent’anni, è proprio la sua insopportabile parcellizzazione: un corridore lo vedi a febbraio, l’altro a marzo, l’altro a maggio, l’altro ancora a luglio. Mai tutti assieme. Ultimamente, neppure al campionato del mondo (una cosa blasfema). Certo non vedremo i più forti sempre a confronto in tutte le corse migliori già dal 2005, questo lo so benissimo. Siamo solo agli inizi. Ma è un passo decisivo, che avvia la riforma necessaria del confronto permanente. Poi, con calma, in un prossimo futuro, bisognerà arrivare al capolavoro assoluto: i migliori cento - o centoventi, o centocinquanta - singoli corridori obbligati a nobilitare il calendario aristrocratico del Pro Tour. Altro che correre soltanto tre settimane in Francia: anche ai campioni, bontà loro, toccherà lavorare.
Per il momento, accontentiamoci e godiamo di questo primo cambiamento: le migliori squadre nelle migliori corse. Comunque, un salto di qualità. Perché è pur vero che se Ullrich vuole puntare solo al Tour, ancora non lo si può obbligare a scendere in Italia: ma almeno, dovendo la sua squadra presenziare al Giro, avremo in gara un Vinoukurov. E così per gli altri team. Vuoi mettere la differenza?
Quanto a noi, lo spettacolo è deprimente. Dicono alcuni, italianissimi e astutissimi: costa troppo, non sta bene, noi restiamo fuori, tanto poi vediamo come farà il Tour senza Cunego e senza Petacchi. Bravi, subito un applauso per il ragionamento molto fine. Poi vediamo? Certo che vediamo. Semplicemente, i Cunego e i Petacchi di oggi o di domani cambieranno maglia e andranno a correre per le squadre che garantiscono loro i massimi traguardi. Come vuole una elementare regola di mercato. E i nostri team? Astutissimi come sono, si ritroveranno a correre felici e contenti alla sagra della tinca.
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