Alle volte, le coincidenze: dopo il Giro d’Italia, il ciclismo non sembra nemmeno più uno sport per soli dopati. Forse è una sensazione soltanto mia, ma da quando abbiamo archiviato i giorni roventi della corsa rosa tutto tace. I casi sono due: o il Giro è l’unico raduno mondiale dei mascalzoni, oppure c’è dell’altro. Inutile dire che c’è dell’altro.
Tanto per rispolverare un attimo il ricordo, era soltanto quattro mesi fa. In uno scenario da cataclisma, sembrava che tutto fosse perduto. Ogni giorno, un colpo di scena: arresti, fermi, interrogatori. E tanti, tanti carabinieri. E tanti, tantissimi giudici. Una sfilata continua di servitori dello Stato pronti a ripristinare la legge in un ambiente malavitoso e malfamato. Tutto questo dal primo all’ultimo giorno delle fatidiche tre settimane. Poi, miracolo all’italiana, il silenzio. Nessuno ha più saputo niente. Zero arresti, zero fermi, zero interrogatori. I carabinieri? Volatilizzati. I magistrati? Evaporati. Improvvisamente, il cataclisma del ciclismo si è risolto in un inspiegabile e imbarazzante vuoto totale. Domanda: ma è una cosa seria?
Credo che nessuno possa tacciare tuttoBICI e - se è concesso - il sottoscritto di stare dalla parte dei dopati. Di proteggerli, di difenderli, anche solo di giustificarli o di fornire qualche attenuante. Ma proprio per questo, proprio per la lunga battaglia ideale condotta ben prima del Giro e tanto meno chiusa dopo il Giro, mi sembra ormai doveroso dire che questo andazzo è vergognoso. Se fossi negli organizzatori del Giro, comincerei a dare in escandescenze. Perché va bene la lotta al crimine, va bene la battaglia per uno sport onesto e pulito, ma non può star bene - mai e a nessuno - questo patetico vizio dello show ad orologeria. Sul grande palcoscenico arrivano tutti, i Serpico, i tenenti Sheridan e i Maigret, tutti in fila con un po’ di cipria per venire meglio davanti ai riflettori. Poi, a fari spenti, tutti quanti girano alla larga, lasciando l’ambiente dei poveracci a grattarsi le rogne di una credibilità perduta. Sputtanato e svilito, il ciclismo deve rimettere insieme i cocci e provare a ripartire. Fino al prossimo Giro. Di danze.
Purtroppo, se la magistratura ci mette del suo, bisogna ammettere onestamente che la causa prima di questa brutta tradizione italiana è chi i riflettori li accende. Inutile nascondersi dietro le generiche definizioni di giustizia spettacolo. Lo spettacolo lo organizzano i tarantolati del microfono rovente, che assieme a certi magistrati aspettano soltanto le tre settimane del grande avvenimento per farsi un quarto d’ora di celebrità. È il bricolage della vanità: tutto l’anno a leggere notizie Ansa nei notiziari dopo la mezzanotte, finalmente a maggio comincia la festa. Quattro agenti arrivano a Corvara per prelevare due carte? Forza, è il momento, accendi tutto, che andiamo in diretta sul tiggì. Con alto sprezzo del ridicolo, eccoli raccontare “il grande blitz che sconvolge il Giro”. Che dico il Giro: il ciclismo. Che dico il ciclismo: lo sport. Che dico lo sport: il mondo intero. Si piazzano in mezzo al prato (che fa molto Kabul) e danno a braccio quattro banalità, spacciandole per novità sconvolgenti. Hanno le vene del collo gonfie come tubolari, la voce rauca per il superlavoro (?) e l’aggettivazione a cascata (quanto al congiuntivo, va considerato la vittima eccellente della concitazione). È uno smaccato e fastidioso parossismo informativo, finto e ruffiano, che ha il solo fine di distribuire un mezzo chilo di popolarità: al solerte inviato, allo zelante agente e all’inflessibile magistrato. Sulla reale portata dei fatti, non è il caso di soffermarsi: da Sanremo in poi, la vita è tutto un blitz. E pazienza se il ciclismo ne esce a pezzi. Chi se ne importa del ciclismo? Ha mai presentato il conto a qualcuno, il ciclismo?
Sempre in attesa che i pasdaran della giustizia spettacolo (genere Bagaglino) sfoderino altrettanta aggressività in altre discipline sportive, dove al solo “amen” scattano querele e saltano i regali di Natale, dobbiamo a questo punto considerare il nostro sport una specie di conto alla rovescia: alla fine del Giro, si azzera tutto e si fa ripartire il count-down, con scadenza al maggio successivo. Praticamente, siamo a meno sei (mesi): poi, con la partenza da Lecce, tutti quanti si ripresenteranno puntuali al loro posto. I Nas con le loro perquisizioni, i magistrati con i loro avvisi di garanzia, i divetti della tivù con le loro dirette al cardiopalma. Ci racconteranno ancora, convinti che qui abbiamo tutti l’anello al naso, come tanta frenesia investigativa sia solo casualmente coincidente col Giro. Tranquilli, andrà così. Nelle loro cose, sono noiosi e ripetitivi. E il Giro, come può difendersi il Giro? Non saprei con esattezza. Tendenzialmente, se proprio non si vogliono adire le vie legali, qualche volta bisognerebbe almeno adire le vie di fatto.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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