Avete stravolto lo sport?
Ora non piangete
di Cristiano Gatti
Stavolta mi tiro doverosamente in disparte per lasciare il giusto spazio ad un altro giornalista. Un grande giornalista. Non aggiungo sportivo, sarebbe sminuente: non tanto perché lo sport sia settore per «minus habens», ma perché questo collega scrive di sport come scrive tranquillamente di tutto. Il suo nome è Gianni Mura (La Repubblica). Vorrei umilmente assegnargli qui, in questo spazio che non ha soldi e premi da elargire, il pubblico riconoscimento per il miglior articolo dell’anno. Non credo che i vari circolini Ussi dei giornalisti sportivi, presi come sono dalle loro cenette all’aragosta nei migliori ristoranti d’Italia per decidere chi premiare tra i loro amichetti, abbiano avuto il tempo di gustarselo, di meditarci sopra, di imparare qualcosa (purtroppo le idee e la sintassi non si scippano), e magari di diffonderlo tra i giovani virgulti della premiata professione, perchè sgombrino il cervello dai miti del giornalismo esotico e lascino posto a quelli un po’ più vicini e soprattutto un po’ più veri.
Venendo al tema. Sollevandosi per un attimo sopra i singoli avvenimenti, dagli Europei di calcio al Tour de France, dai tornei di tennis agli slalom tra le nevi, Mura scrive una perfetta diagnosi dello sport moderno. Se mai leggerà questa cosa, gli chiedo scusa in anticipo per la semplificazione: da quel tollerante naturale che è, comprenderà benissimo che raccontando un romanzo, un film o un articolo si finisce sempre per seviziarlo. Comunque: Gianni si rivolge ai gestori dei grandi spettacoli moderni con l’unica conclusione possibile. Avete voluto lo sport dei Rambo? Li avete gonfiati, li avete superallenati, li avete iperalimentati? Bene, questo è il risultato: adesso teneteveli. Però, per piacere, basta coi piagnistei sullo spettacolo defunto. Non s’è mai visto che il killer va al funerale per piangere la sua vittima.
Per essere più chiaro, passo al virgolettato: “Non è il caso di scandalizzarsi se il calcio ha finito per seguire altri sport nel privilegiare l’esasperazione atletica, la forza come valore principale, se non unico. Pensiamo a cosa è successo nello sci: gli slalomisti sommi potevano essere mingherlini come Thoeni, adesso sono montagne di muscoli. Prima ricamavano, sfioravano i paletti, adesso li abbattono. Pensiamo al tennis, dove gli artisti sono stati soppiantati da forzuti che si prendono a pallate da fondo campo. Nel ciclismo è quasi del tutto sparito il ruolo che più accendeva la fantasia, quello di scalatore. Che senso ha guadagnare due o tre minuti faticando su una salita, quando un grande passista, sapientemente muscolato, te ne toglie il doppio in sessanta chilometri di cronometro?”. Aggiungo io: come si può scattare in salita quando ormai i giganti di uno e novanta spingono anche in montagna dei rapportoni da camionista? Commenta Mura: ai vecchi valori se ne sono sostituiti altri. La fantasia, la destrezza, il talento sono stati defenestrati dalla forza, dall’atletismo, dalla muscolatura. E questo è il risultato. Normale. Però, per decenza, basta con le lacrimucce malinconiche sulle grandi competizioni senza più divertimento.
Allora: salutiamo tutti il trionfo dell’«homo energumenus», così cocciutamente costruito in anni di esasperazioni da laboratorio, e facciamola finita. Questo è lo spettacolo che abbiamo inseguito, adesso teniamocelo senza tante storie. Chi eventualmente abbia ancora voglia di volare con la fantasia ha un’ottima alternativa nei Mura, che con i loro scritti arrivano là dove non arriva più l’avvenimento. Grazie a Mura, e già che ci sono grazie anche a Ormezzano: per quanto possa valere la mia opinione di lettore, dei “senatori” sono i migliori, i più brillanti e i più moderni. Per merito di questi grandi del giornalismo, chi dice che la tivù ha ucciso la stampa scritta dice una colossale stupidaggine. Bastano poche righe di questi talenti per trucidare giornate di trasmissioni e di talk-show televisivi, dove regolarmente dominano gli schiamazzi e le vanità di noti analfabeti. Noti analfabeti peraltro baciati da oceanica popolarità. Purtroppo così siamo noi: i giornalisti non sono i Mura e gli Ormezzano, ma i Pistocchi e i Carlo Nesti. Potenza del video. Impotenza del pubblico.
Cristiano Gatti, 39anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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