Basta ipocrisie: di doping bisogna parlare
di Cristiano Gatti
Cominciamo ad essere tutti uomini di poca fede. E come si fa ad averne ancora molta? Come si può ragionevolmente credere ai risultati di questo ciclismo? Come si può prendere per buono, con l’ingenuità dello sportivo puro e semplice, il campionario di prodigi che ormai ad ogni gara ci sfila davanti? Nelle ultime stagioni si sono visti pezzi d’uomini sull’uno e novanta andare in montagna con la disinvoltura di Fuente e Battaglin. Gente incredibile, che figurava sugli almanacchi tra i velocisti di razza, tenere magnificamente le andature sul Tourmalet. Non solo: ormai anche l’ultimo degli asini affronta le salite con rapporti che una volta andavano di moda tra i cicloamatori per la media discesa.
Se nessuno s’offende, rivendico almeno il diritto di scetticismo. Per semplice autodifesa. Mi rendo conto che non è una cosa bella, che toglie la poesia, ma davvero possiamo berci tutto senza fare neppure una piega? Magari il tifoso più periferico ancora non avverte malesseri, ma nell’ambiente, nell’epicentro del ciclismo, ormai ci si guarda tutti in un modo molto strano: arriva una classifica, ma questo non era sempre saltato come un petardo ai primi tornanti? E com’è che adesso strappa via i numeri a tutti proprio in salita? E ancora: è mai possibile che ormai non si riesca più a fare una fuga vera in pianura, cioè una fuga che non sia favorita da qualche big per i suoi personali interessi? L’ultima vera che ricordo io è quella di Indurain nella tappa belga dell’ultimo Tour, ma siamo veramente nel campo del paranormale. Di norma, qualsiasi corridore medio è in grado adesso di toccare tranquillamente le soglie dei cinquanta e dei sessanta all’ora. Per andarsene bisognerebbe ormai toccare i settanta: sembra una battuta, ma avanti così e ci arriveremo. Sì, verrà il giorno in cui gli Ape Piaggio daranno le dimissioni, stanchi di essere sorpassati dai ciclisti col 55x10.
Diciamolo: certe medie, certi risultati, certi rapporti sono stupefacenti. Esattamente come le sostanze che ormai evocano subito. Sì, è meglio non girare più intorno alle parole e cominciare a parlarsi chiaro. È meglio chiamare le cose col loro nome, così forse ci si capisce meglio e magari si combina anche qualcosa di decente. Allora: poniamo pure che i sospetti di doping siano parto delle menti malate di qualche giornalista cinico e malizioso. Poniamolo pure. Qualcuno però spieghi come mai la famosa Epo, che sta per eritropoietina, cioè il doping degli anni ’90, è al quarto posto nella classifica dei fatturati mondiali di farmaci. Il numero non è parto di una mente malata, ma è fornito direttamente dai medici sportivi italiani, preoccupatissimi per la situazione attuale. Senza rompere troppo l’anima con spiegazioni astruse, basti dire che sono preoccupati perché contro questa Epo si combatte a parole e a vanvera, ma senza alcun risultato concreto, perché è una sostanza prodotta anche dal nostro organismo, dunque diventa problematico stabilire quanto un corridore ha di suo e quanto invece si spara direttamente dalle farmacie. L’unica soluzione percorribile resta quella del prelievo di sangue, dato che soltanto per questa via è possibile in qualche modo ricostruire la vita dell’atleta: guarda caso, però, i controlli sul sangue sono molto contrastati.
E allora? Allora cerchiamo almeno di non uscirne da babbei. Per dire: se, a parte il benemerito Indurain, i più affermati vincitori degli ultimi tempi sono tutti in quota Ferrari, un cognome che nel ciclismo non sta per Cavallino, ma per il più preparato ed evoluto studioso del settore, cerchiamo almeno di tenerlo presente. Mica per sospettare, figuriamoci: così, solo per saperle tutte. Quando poi gli stessi medici sportivi, gli stessi corridori, gli stessi tecnici proclamano che questo livellamento in altissimo, tra ciclisti rambo, sta solo uccidendo una disciplina stupenda, cerchiamo almeno di non dimenticare una cosa: e cioè che mentre tutta questa brava gente chiede di fare il famoso passo indietro, di fermare la folle corsa, c’è la fila davanti agli spacciatori di Epo, quarto farmaco più venduto del pianeta. Mentre invocano il passo indietro, ne stanno facendo due in avanti per recarsi a fare il pieno.
Cristiano Gatti, 39anni,
bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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