Martini for president Ferretti for citti’
di Cristiano Gatti
Alfredo Martini presidente onorario, ambasciatore e uomo immagine del ciclismo italiano (dello sport italiano) nel mondo, con Giancarlo Ferretti commissario tecnico, uomo di ammiraglia e uomo di spogliatoio, patrimonio che il movimento non può perdere per il solo fatto di non avere più sponsor.
L’idea mi è venuta così, non appena la colossale frana dell’ultimo mondiale di San Sebastian ha aperto il cosiddetto dibattito sul futuro del pianeta azzurro. Se è possibile, se non è eccessivamente noioso, vorrei proporre qui il ragionamento personale. Il punto di partenza, il più importante, è Alfredo Martini. Tutti noi che frequentiamo l’ambiente abbiamo imparato a volergli bene come a un secondo padre. Personalmente mi è sempre piaciuto in lui il gusto indomabile del sogno, dei valori, del senso delle cose. È una persona che ha sempre volato alto, che ne ha viste di tutti i colori eppure non ha mai rinunciato a impostare la sua vita e il suo lavoro sulla solida base del rigore e della morale. Se dovessi dare una definizione di Alfredo, direi semplicemente che è un uomo giusto. E per giusto intendo il più bel complimento a disposizione di una persona. Detto questo, c’è un secondo discorso: l’anno prossimo il glorioso cittì avrà 77 anni, e per quanto bene li porti non si può pensare di sottoporlo agli stress del mestiere fino all’esaurimento. Questo non è il dolce alibi di stampo sovietico che serve a rimuovere le persone finite. Guai a chiunque osasse applicare a Martini questi metodi falsi e vaselinati. L’uomo è talmente serio che va trattato col massimo della limpidezza, a costo di fargli anche un po’ male. Non sarà sfuggito nemmeno a lui, oltre tutto, che gli atleti di oggi non sono più quelli di una volta: adesso, più sono scarsi e più sono egoisti. Coccolati e sopravvalutati nelle loro squadre, arrivano in nazionale esibendo due o tre vittorie alla sagra della tinca e pretendono di essere considerati fenomeni. Vogliono gregari, vogliono spazio, vogliono la libertà di correre una corsa privata. Da qualche anno va così: Martini si fida, crede alla loro generosità, s’illude che loro sentano il supremo valore azzurro quanto lui, poi regolarmente buttiamo dalla finestra i campionati del mondo per invidie e meschinità incrociate.
Così ragionando, dico che è ora di risparmiare a Martini, l’ultimo degli idealisti, l’umiliazione di queste farsette nazionali. Meglio, molto meglio, assegnargli a vita la carica di presidente onorario della federazione italiana, trasformandolo ufficialmente in quella bandiera che di fatto già è, amato, ammirato, ascoltato in tutto il mondo come limpido depositario dei valori sportivi. Lui ha ancora voglia di trincea, ma va tentata qualsiasi cosa per convincerlo ad elevarsi più su. Confesso un terrore magari soltanto personale: ancora un paio di mondiali così e finiamo per giocarcelo completamente. Sarebbe un delitto. Il presidente Ceruti, che in certe cose crede ancora, ha il dovere di evitare lo scempio del nostro nome più bello. Se lo chiami vicino, lo coinvolga nell’operazione pulizia avviata in questi mesi: e vedrà che la federazione ciclistica, da tanti anni relegata nel medio evo dello sport, potrà uscire di nuovo a viso aperto, ammirata e invidiata, per le strade del mondo.
Dopo, soltanto dopo, arriva il problema della nazionale. L’ho detto all’inizio: si può risolvere in un minuto. Basta chiamare in azzurro Giancarlo Ferretti, che quest’anno resta volontariamente alla finestra per mancanza di sponsor seri. L’occasione è unica per piazzarlo alla guida della squadra: è uomo che conosce meglio di tutti i corridori d’oggi, è uomo che non guarda in faccia a nessuno, è uomo che riconosce i talenti veri e le patacche finte, è uomo che sa blandire e sa ordinare, è uomo che sa disegnare strategie inventandosi ogni volta una soluzione imprevedibile. Per storia, metodi e indole, a me ricorda molto Trapattoni. Capisco che questa ipotesi, chiamiamola pure questa proposta, richieda una certa volontà e una buona dose di coraggio. E so pure che mentre la avanzo tutt’altre intenzioni possono aleggiare lassù dove si conducono i giochi. So tutto. Ma siccome noi giornalisti siamo considerati capaci soltanto di distruggere, stavolta voglio almeno eliminare questo alibi. Decideranno come al solito di testa loro, ma almeno stavolta non riusciranno a farmi sentire anche in colpa.
Cristiano Gatti, 40anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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