Editoriale
Volti e voti di fine stagione. Il ciclismo agonistico pedala verso la fine dell’attività agonistica e noi vi riserviamo qualche piccola e innocua annotazione (corredata da un adeguato voto) su temi che hanno caratterizzato questo ultimo mese di corse.
Sandro Callari: 10 in sincerità. Alla vigilia della trasferta australiana aveva dichiarato a Pier Bergonzi de La Gazzetta dello Sport di attendersi dai suoi ragazzi quattro medaglie d’oro. Molti si sono scandalizzati per questo suo autentico proclama. Noi lo premiamo con un dieci, per la sincerità. D’altra parte dov’è lo scandalo? Se un tecnico lo si ritiene tale deve sapere perfettamente cosa può valere la sua squadra e a cosa può ambire. Tacere per scaramanzia? Cose da piccoli uomini. Si è forse rifugiato dietro a queste panzane Walter Godefroot, team manager della Telekom, prima del Tour de France? Assolutamente no. Si è solo limitato a dire: siamo venuti in Francia per puntare al successo finale, con Riis o Ullrich questo non importa. E questa non è presunzione ma semplicemente consapevolezza dei propri mezzi.
Sandro Callari: 5 in stile. Ha difeso a spada tratta Roberto Chiappa che sull’anello in legno di Perth è stato detronizzato dal podio e privato della medaglia d’argento del keirin. Sappiamo perfettamente che Callari è tipo sanguigno, ma rappresenta la nazionale italiana nel mondo, una delle scuole ciclistiche più prestigiose e medagliate del globo. Che Chiappa vada su tutte le furie, beh, possiamo anche capirlo, ma che almeno il tecnico mantenga un certo decoro, formale e verbale, è il minimo che ci si possa attendere da un tecnico federale. Anche le dichiarazioni rilasciate dopo l’oro del quartetto, giunto a conclusione di una finale viziata dalla caduta del trenino dell’Ucraina, non sono state certamente il manifesto di bon ton. «Sono caduti perché erano appannati, e noi eravamo certamente favoriti perché in rimonta nella fase finale». Anche se fosse stato vero, in questo caso, non per meschinità ma solo per una questione di rispetto dell’avversario, era sufficiente ricordare che un pizzico di fortuna poteva anche starci, ma che quell’oro era soprattutto frutto della vittoria ottenuta sulla Francia, il quartetto dato per favorito alla vigilia. Ma forse non tutte le colpe sono di Callari. La Federazione mancava di un dirigente capace di muoversi con discrezione e competenza in sede internazionale. Si è sentita la mancanza di un uomo di esperienza e conoscenza del calibro di Renato Di Rocco, segretario generale utilizzato a mezzo servizio. E anche Virginio Rapone, responsabile delle squadre azzurre, ha e aveva l’obbligo di esporsi di più: è lui che rappresentava la delegazione azzurra non Sandro Callari.
GianniMeraviglia: 8 per la pazienza. Il giudice internazionale, componente di giuria a Perth, «reo» per la delegazione italiana di alto tradimento, merita un otto per la pazienza dimostrata per le ingiurie e le minacce subite. Due le cosiddette sbavature: un momento di esitazione prima di assegnare la piena vittoria a Silvio Martinello nella corsa a punti, e il declassamento di Chiappa nel keirin. Martinello ha ammesso di non aver temuto per un solo istante di perdere la medaglia d’oro, anche perchè contrariamente al calcio, nel ciclismo le prove televisive fanno sempre testo. Chiappa, a San Francesco al Campo, in occasione degli assoluti della pista, è andato invece a chiedere personalmente scusa a Meraviglia, dopo aver visto e rivisto la volata incriminata. «Credo che abbiate avuto ragione, ma ritengo di non aver ricevuto lo stesso trattamento degli altri», ha detto il ragazzo azzurro. Meraviglia ha sorriso e ha tirato un lungo sospiro di sollievo. Spesso i ragazzi sono più saggi dei loro padri.
Hein Verbruggen: 3 gli anni di fallimento. Ci sembra ormai chiaro che l’esperimento di tenere vivo l’interesse del ciclismo da febbraio a ottobre sia definitivamente fallito, così come la mondializzazione di uno sport che ha profonda tradizione in certe nazioni e in altre neanche è conosciuto. Hein Verbruggen, il grande papà del ciclismo internazionale, deve fare ammenda e tornare all’antico: Mondiali a fine agosto. In questi ultimi anni, le sfide iridate sono risultate mondiali soltanto per le assenze, e anche quest’anno la squadra di coloro i quali sono rimasti in poltrona era senz’altro più qualificata di quella che si è presentata al via di San Sebastian. Anche per il nostro ct, Alfredo Martini, il lavoro si è fatto maledettamente più difficile. Lui, che ha sempre dovuto faticare per allestire la squadra azzurra a causa dei troppi aspiranti, oggi si ritrova a diramare le convocazioni quasi per alzata di mano: chi vuole la maglia azzurra faccia un passo avanti. Verbruggen, che è un dirigente capace e intelligente, in questo caso dovrebbe farne uno indietro.
Hein Verbruggen: 6 per il futuro. La Coppa del Mondo della pista è certamente un buon veicolo promozionale per tutto il movimento ma ci domandiamo per quale ragione anche i pistard non possano disporre di un ranking che garantisca un punteggio ai team della strada. In questo modo, un corridore come Marco Villa non rischierebbe di restare a piedi, perché un team professionistico sarebbe interessato ad inserirlo nei propri quadri in quanto potrebbe garantire un certo numero di punti utili a definire la graduatoria mondiale dei team. Vogliamo rilanciare la pista? Rendiamo appetibili i pistard (e i loro punti) ai team professionistici che svolgono attività su strada. Ma per il momento non è possibile. Perché Verbruggen ama la pista come io adoro andare dal dentista.
Pier Augusto Stagi
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