Ma tutti quei soldi non son sprecati?
di Cristiano Gatti
In calo gli italiani, in crisi eterna i belgi, benino i tedeschi, benone gli spagnoli, in forte rialzo i francesi. La borsa valori del ciclismo chiude un inverno di furibonde trattative, segnalando a colpi di mercato lo stato economico delle diverse regioni sportive. Così, a naso, mi pare che nel bene e nel male vada eletta regina della bancarella la spagnola Banesto: perdendo Indurain e acquistando Olano, lo scaltro Echavarri (lo Stanga navarro) mette in bilancio i due affari più significativi. Subito dopo si segnala per intensità del fenomeno la prorompente ripresa del movimento francese, che ha messo sul tavolo molti miliardi freschi e ha attirato nelle sue nuove squadre fior di corridori (noi abbiamo dato, tra gli altri, Fondriest e Rebellin).
Tirati i primi conti, si può concludere già da adesso che non sarà nemmeno questa una stagione povera. Continua, con spostamenti e sperequazioni soltanto geografiche, la stagione dell’oro e dei buon guadagni. Ecco, appunto: ma ciclisti che guadagnano un miliardo l’anno sono ciclisti che guadagnano troppo? La domanda se la poneva un giorno proprio Gianlugi Stanga, primo manager del ciclismo moderno, primo contabile che conta anche l’ultima lira. Ne parlavamo durante l’intervista poi uscita su Tuttobici di qualche tempo fa. E ovviamente Stanga aveva già pronta la sua risposta: il ciclismo moderno, studiato nei suoi risvolti di convenienza economica e di ritorno pubblicitario, non deve costare più di sei-otto miliardi l’anno. Cioè: lo sponsor che paga una squadra dieci-dodici miliardi sta letteralmente buttando i soldi dalla finestra.
Lo stesso Stanga chiudeva così il suo ragionamento: se ho a disposizione sei miliardi, non posso prendere due corridori da un miliardo e mezzo. Perchè poi ci sono gli altri sedici, ci sono i meccanici, ci sono i medici, ci sono gli alberghi, ci sono i mezzi di trasporto, ci sono le stupide spese di tutti i giorni. Oltre tutto tenendo presente che il ciclismo è uno dei pochi sport che non fruttano denaro alle proprie Leghe: mentre quella del calcio vende il suo campionato alla televisione e divide le entrate tra le singole società, quella del ciclismo lascia che a vendere le corse alla televisione siano gli organizzatori, il che è in parte giusto, ma soltanto in parte, perchè sarebbe come se cinema e teatro non pagassero gli attori.
Parco negli stipendi, che comunque ha sempre pagato puntualmente fino all’ultimo cent, Stanga ammette solo un’eccezione: il superfuoriclasse. Per quello, per il Moser dell’epoca, per il Bugno del ’90, per l’Indurain dei cinque Tour, ogni cifra è ammessa. Il corridore diventa un volto popolare, un mito positivo, e il suo impatto pubblicitario non è più calcolabile. È comunque di più. E allora è giusto che lo sponsor faccia follie e che l’interessato guadagni moltissimo. Da qui la conclusione di questa corrente di pensiero: grandi cifre per i grandi campioni, ma solo per quelli. Il livellamento in alto dei giorni nostri, che porta un miliardo in tasca a ciclisti vincitori un solo giorno all’anno, è invece un flagello. Fa saltare i bilanci, abbrevia la presenza dello sponsor, trasforma i corridori in grigi e accidiosi ragionieri.
Per quanto mi riguarda, parto da un presupposto molto generale: sono cioè ben lieto, sempre e comunque, se qualcuno riesce a guadagnare molto col suo lavoro. Dunque, sono oltremodo lieto che i corridori del giorno d’oggi, anche quelli di livello medio, portino a casa parecchi soldi, perchè fanno comunque un lavoro molto duro. So benissimo che l’enfasi pauperistica del ciclista faticatore deve un po’ attenuarsi, so benissimo che in miniera si sta peggio, ma la sostanza non cambia: correre in bicicletta resta comunque un mestiere pesante. Chi s’indigna per il ciclista che gira con la Bmw fiammante dovrebbe piuttosto impiegare le sue energie e il suo sdegno per certi altri fenomeni, tuttora perduranti: parlo delle squadrette tenute in piedi dai nuovi schiavisti, megalomani e mitomani, con contratti da un milione e mezzo al mese. Per non parlare di quelli che fanno correre i ragazzi dotati di sponsor personale: mascalzoni loro e fessi totali i corridori negati che pagano per illudersi.
Come si usa dire, parlando di grana il dibattito porta lontano. So che sulla questione si incrociano e si scontrano mille posizioni, dalla romantico-idealista alla cinico-palancaia, passando per tutta una serie di sfumature e di specifiche comunque plausibili. Io personalmente, quando mi trovo a un punto morto, nell’impossibilità cioè di stabilire se la tot cifra è adeguata al tale corridore, preferisco capovolgere il discorso e chiuderla così: se qualcuno glieli dà, fa bene a prenderli. Caso mai, vogliamo parlare di chi glieli dà?
Cristiano Gatti, 40anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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