No, non potete portarci via il nostro De Zan
di Cristiano Gatti
Dobbiamo farci forza, il 1997 non sarà più lo stesso: a quanto pare ci pensionano Adriano De Zan. Non è una bella notizia, almeno per me. Tant’è vero che mi aggrappo ad una residua speranza, legata alla pura statistica: negli ultimi dieci anni, fonti ben informate e autorevolissime mi hanno regolarmente assicurato altrettanti pensionamenti di Adrianone. Invece no: gli anni passavano, e lui era sempre impassibile al suo posto. Dunque, continuo a sperare. Anche se stavolta, come tutte le altre volte, mi assicurano che è davvero finita.
Siamo davanti a una pura crudeltà. Ma come: gli sottraggono il Giro per quattro anni, quattro anni d’inferno a mendicare un’intervista notturna, povere frattaglie lasciate dagli avidi e insaziabili inviati Fininvest, un quadriennio di malinconie assistendo alle telecronache di suo figlio Molto Molto, e proprio adesso che il giocattolo sta per tornare a casa (dal ’98) gli inviano regolare lettera di pensionamento. Dai, è sadismo. Va bene i regolamenti aziendali, va bene il risanamento Rai, ma di fronte a certi casi bisognerebbe veramente concedere l’eccezione: così, per scopi umanitari. Invece niente: l’epopea di Adriano è al capolinea. Di più: è già aperta la corsa per trovare un degno successore, non è neppure escluso che alla fine l’erede sia proprio Molto Molto.
Era tornato il principe dei telecronisti: dopo aver aperto per anni il palco a cani e porci, la Rai aveva finalmente ceduto alla indignazione nazionale e aveva obbligato Adriano a parlare solo con Davide Cassani. E Adriano, stavolta, si era dimostrato quell’uomo intelligente e scaltro che è: anzichè puntare alla pubblica rovina del suo collega, opera da metodico canaro che gli era perfettamente riuscita con Giacomo Santini, aveva colto la palla al balzo e aveva trasformato l’ex corridore in un perfetto strumento di riabilitazione personale.
Ovviamente, ogni tanto c’era la ricaduta: dopo anni di droghe pesanti, è difficile andare avanti a pane e nutella da un giorno all’altro. Così, saltuariamente comparivano sul palco un Beppe Conti o un Angelo Zomegnan, amichetti d’infanzia, ma erano peccati veniali, dosi leggere, episodi marginali. In generale, la telecronaca Rai (vedi l’ultimo Tour) era tornata ad essere la migliore: come direbbe Tommasi, sul mio personalissimo cartellino la coppia De Zan-Cassani batteva Molto Molto-Saronni 6-1, 6-1.
Eppure, proprio nel momento della vena ritrovata, Adriano deve andarsene. Prima ancora che scatti la pensione, io vorrei qui tributargli l’omaggio che si merita: secondo me, lascia il microfono il numero uno dei telecronisti italiani (ex aequo con Paolo Rosi). Tramonta così, con una banale lettera amministrativa, una grande scuola, capace di rendere a voce il sapore forte degli avvenimenti. Nel momento dell’applauso, voglio però anche dire ad Adriano che non gli perdoneremo mai due colpe gravissime. La prima: aver gettato via, per pigrizia (o per stanchezza, o per sazietà, o per routine, o per esaurimento: non ho mai capito bene) diversi anni della sua carriera. Parlo della fase finale, di quando sul suo palco si aprivano le bancarelle del pesce e si trattava di qualsiasi cosa, fuorchè di bicicletta. Un ricordo su tutti: Giro 1989, tappa di Corvara, giornata di tregenda epocale, il nostro Giupponi che fa nero Fignon, costretto subito dopo il traguardo a salire su un’ambulanza. In mezzo a tutto questo, l’ineffabile Adriano ci parlò dei prossimi mondiali di sci e di quanto sia importante l’uso del casco. Ma non in bici, no: ovviamente sugli sci. E passiamo alla seconda colpa imperdonabile: andandosene, Adriano chiude il capitolo dei grandi telecronisti, ma soprattutto ci abbandona a Luogo Comune Pizzul, a Precisino Nesti, a Salumiere Mattioli. Non è una colpa diretta, lui non ci può fare niente: ma noi questa cosa l’accuseremo tragicamente.
Caro Adriano, valutando adesso a mente fredda, credo che sulla prima colpa si possa in definitiva chiudere un occhio. Ma per la seconda non ci provare nemmeno. Per uscirne con la coscienza in ordine, ti resta una sola possiblità: portarli tutti in pensione con te.
Cristiano Gatti, 39anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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