Editoriale
Che in salita fosse una freccia lo sapevano tutti, ma che la Luperini avesse il passo di Marco Pantani, no. Ci risiamo: ogni qualvolta la fuoriclasse di Cascine di Buti compie una personale impresa, ecco che ci si spreca in commenti e accostamenti. Dopo l’ennesima accoppiata «Giro e Tour» scrissero: «Luperini come Binda», «Fabiana come Merckx». E via in sproloqui di questo genere. Dopo la vittoria nella prima edizione della Freccia Vallone al femminile, ecco che il Corriere delle Sera scrive: «in salita la Luperini è meglio di Marco Pantani». Che si riferissero all’aspetto fisico?
Battute a parte, quel che continuo a non capire è questa ostinazione ad accostare sempre l’impresa di una donna a quella di un uomo. Si parla spesso e volentieri a vanvera di pari opportunità, e poi ogni pretesto è buono per sottolinearne la distanza. Sì, perché di distanza, almeno sportiva, si tratta. Come si fa a scrivere che la Luperini va in salita come Pantani? Chi lo fa o è in vena di battute poco felici oppure poco scrupoloso con i propri lettori. I numeri non diranno tutto ma aiutano a capire: Freccia Vallone maschile, 201 chilometri di corsa con doppia scalata del muro di Huy e media finale di quasi 40 km/h. Gara riservata alla donne: 84 i chilometri, con arrivo sul muro di Huy e media poco superiore ai 34. Per poi fare un buon lavoro sarebbe giusto cronometrare il tempo di scalata sul «muro» sia di Bo Hamburger che della Luperini, ma anche in questo caso non è oggettivamente possibile fare raffronti, perché Hamburger è arrivato a quella scalata con almeno centoventi chilometri in più nelle gambe rispetto alla collega. Come vedete non solo è improponibile un confronto, ma è anche profondamente ingiusto farlo. La Luperini è la più forte scalatrice del mondo: punto e basta.
Se proprio vogliamo creare una sinergia tra uomini e donne, perché il presidente Verbruggen non si adopera per sensibilizzare i team professionistici ad aggregare nelle loro squadre anche qualche atleta del gentil sesso? La Freccia Vallone è stata senz’altro una buona e lodevole idea, ma non troverà mai pieno riscontro perché i team professionistici, che spendono miliardi, non accetteranno mai di condividere le loro corse con team femminili di basso profilo. L’esperimento fu fatto negli anni Novanta con i dilettanti da La Gazzetta dello Sport che organizzava in contemporanea anche il Giro Baby (’90, vittoria di Belli) ma poi l’iniziativa fu sospesa proprio per ragioni «politiche». L’idea però potrebbe essere quella di spingere Mapei, Asics, Polti, Telekom, Casinò, ad ingaggiare sei/otto atlete che andrebbero a correre gare di cartello (con chilometraggi logicamente ridotti) di corse professionistiche. Qualche esempio? Sulla falsa riga della Freccia Vallone, si potrebbero correre i tratti finali della Milano-Sanremo, del Fiandre, della Roubaix e via elencando. In questo modo gli organizzatori avrebbero da proporre un ottimo spettacolo aggiuntivo ai tanti appassionati che sono presenti sulle strade e attendono l’arrivo dei loro beniamini, a costi minimi. In questo modo il ciclismo femminile potrebbe beneficiarne dal punto di vista dell’immagine, organizzativo e finanziario. So di fare un discorso tutt’altro che popolare, ma oggi il movimento femminile sta vivendo un momento di assoluto isterismo: manca ancora di strutture, di organizzazione, di seguito appropriato, però gonfia i bilanci con cifre semplicemente fuori dal mercato. Oggi ci sono atlete che guadagnano anche più di 300 milioni di lire all’anno. Questa è follia pura. Ma lo sapete che Angelo Peruzzi, portiere della nazionale e della Juventus ha un contratto di 700 milioni annui? Il calcio, il tanto vituperato calcio, spendaccione e megalomane, paga chi rende e vale in termini di comunicazione. Quante atlete abbiamo noi che possono dirsi buoni veicoli pubblicitari? La Luperini non mi sembra un granché, la Bellutti è certamente meglio, ma forse l’unica che ha il bellaspetto del personaggio è proprio Alessandra Cappellotto, la nostra campionessa del mondo, che però non viene strapagata come alcune sue colleghe.
Mi diranno: ma tu se parli così non vuoi bene al ciclismo femminile. Eccome se ne voglio, ed è per questo che invito tutti ad un attimo di riflessione e di senso della reltà. Meglio un ciclismo meno oneroso e più appetibile agli sponsor, che un elefante dai piedi d’argilla che rischia di non stare in piedi.
Non vorrei che, come spesso accade, le donne imparino dagli uomini le cose peggiori. Nel nome di un solo e unico obiettivo: avere la Luperini sullo stesso piano di Pantani. Alla voce costi.
Pier Augusto Stagi
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