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L'ORA DEL PASTO... ALLA VUELTA. IL GRAFFIO DI POUPOU
di Marco Pastonesi | 25/08/2025 | 08:56

L’Eterno Secondo fu – tra grandi e piccoli giri, classiche e kermesse - 189 volte primo. E primo anche nella Vuelta. Era il 1964. Raymond Poulidor aveva 28 anni.

Dal 30 aprile al 16 maggio, 17 tappe, 2900 km circa, otto squadre di club, 80 corridori (ne sarebbero arrivati 49), Poupou (diritti d’autore per il soprannome a Emile Besson, giornalista dell’Humanité, che gli aveva proposto – invano – di entrare nel Partito comunista), dorsale 22, guidava la Mercier-BP. “Alla partenza di questa Vuelta – raccontava nell’autobiografico “Poulidor par Raymond Poulidor” (Editions Jacob-Duvernet, del 2004, a cura di Jean-Paul Brouchon e con la prefazione di Eddy Merckx) – si annunciava un duello Poulidor-Van Looy. Un duello che sarebbe risultato corto, perché Van Looy abbandonò il sesto giorno, dopo una rovinosa caduta”.

Antonin Magne, il direttore sportivo di Poulidor, gli suggerì una condotta di gara prudente. Forse troppo. A tre giorni dall’arrivo finale a Madrid nell’enorme parco pubblico battezzato Caso de Campo, Poulidor doveva recuperare 3’27” al primo della generale, lo spagnolo Julio Jimenez. “Era il momento della cronometro su un percorso difficile, da Vilalon de Campos a Valladolid, 65 km”. Qui trionfò. E in classifica superò gli spagnoli Gabica, Perez-Frances e lo stesso Jimenez, “l’orologiaio di Avila”, grande scalatore (vinse la classifica dei gran premi della montagna) ma scarso cronoman (nella circostanza subì quasi sette minuti di distacco). E sul podio, non era un caso, successe al suo grande rivale, Jacques Anquetil. La Mercier-BP si era aggiudicata anche tre tappe con il belga Franz Melckenbeeck e due con l’inglese Barry Hoban.

“Questa vittoria – raccontava Poulidor – mi deliziò. Avevo acquisito resistenza. Riuscivo a domare meglio il caldo. Sapevo con esattezza che cosa potevo chiedere al mio corpo. A poco a poco lasciavo che i miei pensieri volassero con tranquillità verso il Tour de France”. Era quello l’obiettivo più importante della stagione, ed era Anquetil l’avversario più forte, il rivale più diretto. Fu la volta in cui Poulidor sfiorò più da vicino la felicità: secondo, dietro ad Anquetil, per 55 secondi (niente, a quel tempo), dopo incredibili disavventure (“Una volata lanciata troppo presto nella nona tappa, a Monaco, dimenticandosi – ha scritto Pierre Carrey su “Libération” - che gli rimaneva da percorrere un giro, non poté beneficiare del bonus di un minuto”) e amare beffe (l’ultimo giorno, durante la crono da Versailles a Parigi, che sembrava dominare, “un giornalista televisivo commise un errore di calcolo – ancora Carrey - e gli annunciò che aveva realizzato il miglior tempo, e quindi avrebbe conquistato la maglia gialla. Nell’arco di pochi secondi, Poulidor vide cambiare la sua vita prima di scoprire l’effettivo verdetto del cronometro e tornare a essere Poulidor”).

Povero Poulidor. Così attaccato al secondo posto da arrivare secondo e far arrivare secondo perfino Anquetil al Trofeo Baracchi, cronocoppie, nel 1966.

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