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GARMIN BEAT YESTERDAY, DONATI 10MILA EURO A OBIETTIVO3 DI ZANARDI CON GANNA, VIVIANI, NIBALI, BALLAN...
di Nicolò Vallone | 30/11/2023 | 19:37

I Beat Yesterday di Garmin hanno rivoluzionato il proprio format: non più "awards" per persone comuni che hanno compiuto imprese straordinarie, bensì un evento "for Charity" a supportare l'associazione Obiettivo3 creata da Alex Zanardi per la pratica sportiva delle persone affette da disabilità. Nell'albergo milanese Sheraton San Siro oggi pomeriggio si sono succeduti, in parallelo, quattro talk show e innumerevoli pedalate su NEObike Tacx: i talk hanno riguardato quattro temi legati allo Sport; nel frattempo, ai due lati del palco, sui "rulli" hanno pedalato sportivi, giornalisti ed esponenti della realtà coinvolte, con tragitto virtuale dalla sede Garmin di Milano a quella di Obiettivo3 a Padova.

Al termine dell'evento, donazione di 10mila euro da parte di Garmin a Obiettivo3.

Qui di seguito un condensato dei 4 talk:

ALTRUISMO (condotto da Andrea Berton)

Stefano Viganò, amministratore delegato di Garmin Italia - «Quest'anno non abbiamo raccolto storie singole di realizzazione di sogni, ma abbiamo radunato tanti atleti per supportare concretamente la possibilità per tanti di realizzarli. L'altruismo è una forma di "egoismo sano". Ricordo la storia di un ragazzo di nome Volfano, che ha finanziato la costruzione di una scuola grazie a una pedalata da Firenze a Belgrado.»

Barbara Manni, responsabile marketing di Obiettivo3 - «Alex voleva mettere a disposizione ad altre persone la possibilità che ha avuto lui di seguire un normale percorso di sport paralimpico. Oggi contiamo 150 atleti sostenuti da un punto di vista tecnico ed economico, abbiamo ragazzi nella Nazionale di paraciclismo e ottimi triatleti e arcieri. Tutti loro sono ambasciatori del pensiero di Alex ovunque ci sia bisogno di sensibilizzazione, e ora hanno bisogno di tutto il contributo possibile in vista delle Paralimpiadi.»

Emilia Rossatti, schermitrice - «Ai campionati di scherma Under 23, in finale contro Gaia Traditi, lei era in vantaggio 12-9 ma si è infortunata scivolando in pedana. Si rimette in piedi e ricomincia l'assalto, ma anziché approfittare della sua condizione per rimontare ho indietreggiato e ho lasciato che vincesse. Quel titolo era fondamentale per qualificarsi agli Europei di Budapest, ma era giusto che lei, in vantaggio per tutto l'incontro, portasse a termine la vittoria e non la perdesse per quell'episodio sfortunato. Comunque alla fine siamo andate insieme agli Europei e abbiamo vinto insieme un bronzo di squadra!»

Simone Moro, alpinista - «Nel 2001 ero con il kazako Denis Urubko in una tenda a 8000 metri senza ossigeno. Sentiamo urlare da fuori la tenda, usciamo ed era un polacco che stava scendendo con ossigeno dal Lhotse insieme a un amico, ma quest'ultimo era caduto in basso e aveva bisogno di essere aiutato per risalire. Io, non perché sono Simone Moro, ma perché geneticamente quando c'è da tirare fuori qualcuno dal guano siamo sempre noi italiani ad andare, sono partito con solo un'ora e mezza di luce a disposizione e 30 gradi sotto zero, vado sulle rocce evitando le valanghe e giungo da questo inglese, Tom Moores, che pensava che sarebbe morto e invece ha trovato me che me lo sono caricato sulle spalle. Gli ho dato il mio sacco a pelo e una bombola d'ossigeno per dormire e il giorno dopo non avevo la forza per scalare e ho dovuto rinunciare a quella vetta: ma ero contento di aver salvato Tom. L'Onu mi ha conferito la medaglia d'oro al Valor Civile: di solito la danno alla memoria, sono contento di averla presa da vivo!»

Davide Cassani - «Il ciclismo è unico per come sia totalmente di squadra, nonostante sulla carta sia individuale. Da ragazzino sgonavo di correre grandi giri e Mondiali, quando diventai professionista mi resi conto subito che non sarei diventato un grande campione. Avevo però realizzato un gran sogno e cercai di godermi ciò che stavo vivendo, godendomi giorno dopo giorno l'allenamento e l'attività ciclistica. Dopo sette anni vinsi la prima gara, ma la caratteristica fondamentale della mia carriera era la gioia di essere utile alla squadra. Mi trovai alla corsa iridata di Stoccarda nel 1991 a inseguire avversari in fuga per conto di fortissimi capitani. Mi si presentò l'occasione per andare in una fuga possibilmente vincente, per un minuto e mezzo mi voltai accarezzando pure l'ipotesi di cercare l'inattesa gloria personale, invece restai a ruota e propiziai il ritorno di Gianni Bugno che poi andò a vincere. Quella vittoria la sento pure mia, il gregario non è un corridore di Serie B, ma uno che se fa bene il suo lavoro permette al team e al leader di vincere. Come nel 1988 a Ronse, quando andai a ricucire tre volte su Fignon e aiutai così Fondriest a prendersi la vittoria.»

VOCAZIONE (condotto da Vic)

Linus - «Tutti i ragazzi della mia generazione facevano tanti sport ma in maniera discontinua. Più di frequente giocavo a calcio, anche con la radio abbiamo organizzato tante partite di beneficienza, ma nel 2000 mi sono infortunato molto seriamente al crociato destro. Quando sono guarito i medici mi sconsigliarono vivamente di giocare ancora, a quel punto iniziai a correre da solo: una cosa che i calciatori in genere detestano, ma provai a imitare i tanti runners che vedevo davanti casa mia. La prima volta completai il giro attorno all'ippodromo in 45 minuti, dopo anni arrivai a farcela in 18. Nella corsa ho trovato una bellissima valvola di sfogo, non così facile da gestire, ma ho trovato magnifica la "lealtà" di questo sport, comune al ciclismo: tutto ciò che accade dipende da quello che fai tu, c'è corrispondenza tra impegno e risultati.»

Vincenzo Nibali - «Continuo a trovare il tempo per andare in bici, anche coi tantissimi professionisti ancora in attività che abitano vicino a me. Porto così avanti una passione che nacque quando ero bambino: il ciclismo era lo sport di papà, che faceva il carrozziere. Sono cresciuto vedendo lui che armeggiava sulle bici da corsa, era un cicloamatore: dalla Sicilia passai da ragazzo in Toscana, finché arrivarono Cenghialta e Ferretti a portarmi in Fassa Bortolo. Come papà amo montare e smontare la bicicletta, tuttora sistemo a volte qualche problema meccanico ai professionisti di cui sopra. La velocità massima che ho raggiunto in discesa? 120 km/h, io ero molto bravo ma sul bagnato il migliore era Savoldelli. Oggi con la multidisciplina s'insegna meglio la tecnica ai piccoli ciclisti.»

Filippo Ganna - «Il mio punto di partenza fu un po' diverso da Vincenzo, la bicicletta la odiavo da piccolino. I nonni mi regalarono la prima bici ed ero felicissimo, ma mi demoralizzai subito quando prendevo legnate alle prime corse. Piano piano, con l'impegno e la determinazione, iniziai ad apprezzare questo sport... ed eccoci qua! Mi alleno 25 ore a settimana, ma il soprannome Top Ganna me lo diede il mio primo direttore sportivo in una di quelle serate invernali dove ci è concesso un po' eccedere: quando mi disse Top Ganna chiesi perché, e lui "sei troppo giovane...". La bici del record dell'ora? La ricevetti già pronta, era perfetta per quella prestazione: una volta salito su quella Pinarello con telaio su misura, dovetti solo pedalare. Il pubblico mi esaltò fin dal primo giro, forse fin troppo (ride, ndr)»

Lo sciatore Kristian Ghedina - «Quando nasci in località dove gli sport invernali vanno per la maggiore, è naturale iniziale con hockey o sci. Ricordo quando a 7 anni andavo ad allenarmi mettendo gli sci davanti alla porta di casa e togliendomeli una volta tornato, tanta era la neve. La famosa "spaccata" a 137 km/h sulla Streif di Kitzbuhel la feci per scommessa con mio cugino, per vincere una pizza e una birra: mi aveva dato del chiacchierone perché me la vedeva fare solo nella ricognizione. Ricordo le differenti reazioni dei miei allenatori (segue aneddoto colorito e pieno di risate per il pubblico, ndr)»

Erica Fre, che vinse i Beat Yesterday Awards nel 2020 - «La bici è sempre stata il mio spazio di libertà, poi da moglie e mamma si abbandonai l'attività sportiva. Quando mio marito è morto e i miei figli sono cresciuti, mi sono ripresa dei pezzi di vita e ho preso a correre: con la mia amica Francesca ci siamo allenate tanto e abbiamo costituito un progetto per ispirare tante persone normali e con corporature "non conformi", a fare tanto sport insieme.»

GENIALITÀ (condotto da Davide Camicioli)

Stefano Baldini, ex maratoneta medaglia d'oro ad Atene 2004 - «Avevo la maturità e l'esperienza di chi non aveva ancora mostrato appieno tutte le doti che sa di avere. Non avevo ancora toccato con mano un oro così prestigioso, ci riuscii nell'occasione più importante. La genialità dello sportivo è trovare la chiave per far meglio degli altri qualcosa che anche gli altri sanno far benissimo. Non è solo prestazione, ma scelte e comportamento. Nel mio caso fui favorito dal fatto che quella maratona fu l'ultima gara di quei Giochi, nel tardo pomeriggio-sera rendo al meglio: devo ringraziare gli organizzatori! Quella piccola grande finestra di sport all'interno del lungo tempo di una vita era da "o oggi o mai più" e riuscii a scegliere il momento giusto per partire... Oggi provo una sana invidia nei confronti degli atleti odierni, che hanno a disposizione materiali e staff tecnici avanzatissimi che alla mia epoca c'erano meno. La tecnologia a volte ci spaventa, ma in fondo ci crea vantaggi e benessere. Oggi noto che nei ragazzi e ragazze di provincia brulica un certo spirito spirito, sono meno svogliati e un po' più "selvaggi".»

Alessandro Ballan - «Anche nel caso del ciclismo la genialità è partire al momento giusto, a Varese 2008 però la genialità partì nei tre chilometri precedenti: rischiai di perdere il Mondiale perché mi trovai staccato dai primi (dove si trovavano anche Cunego e il compianto Rebellin), ebbi la freddezza di voltarmi e aspettare il gruppetto di inseguitori per riportarmi sotto sfruttando la loro ruota. Appena tornati sul quintetto di testa, tirai quella famosa "botta" iridata. Seppi fare una scelta che poteva sembrare sbagliata sul momento, ma era giusta per il dopo. Il peso delle bici rispetto a quando correvo io è simile, anche perché il freno a disco le appesantisce, però le rende più gestibili in discesa, ma il mezzo si è evoluto in maniera impressionante. Sono fiero di ciò che ho vinto, mi è mancata però la Parigi-Roubaix dove sono andato a podio tre volte e magari lì la genialità l'ha avuta l'avversario. Mia figlia Azzurra ha 15 anni e corre anche lei, all'inizio ero titubante ma sono felice di vederla così entusiasta.»

Elia Viviani - «Dovessi chiedermi un colpo di genio ancora, spero che arrivi all'Olimpiade di Parigi l'anno prossimo. Chiedo a quella pista ancora un'ultima grande soddisfazione! Il bello di una medaglia d'oro olimpica è che ti ricordi qualsiasi momento a distanza di anni. Quando ripenso all'omnium di Rio 2016, torno alla prima prova del mattino: il chilometro da fermo. Ero terrorizzato dal fatto di essere ancora freddo a un orario così presto. Mi svegliai prestissimo, alle 7 ero già in bici sulla spiaggia di Copacabana! Quando si parla di "colpo di genio" si tende a catalogare il momento topico, ma il vero colpo di genio è la costruzione di quel momento. Senza dimenticare che è fondamentale comunque la fortuna. La mia generazione fa massimo 30mila chilometri l'anno in bici, quella dei Ballan superava i 35mila: ci sono oggi allenamenti magari più specifici e diversificati. E il livello del gruppo si è livellato mostruosamente verso l'alto: prima il rapporto era 2 capitani e 6 gregari, oggi ci sono 3-4 leader e qualche mero lavoratore in meno. Io comunque mi diverto sempre molto, dirò basta solo quando verrà meno questo aspetto.»

Simone Nieddu, direttore marketing di Dainese - «Il fondatore della nostra azienda Lino Dainese nel 1968 andò in giro in Vespa per tutta Europa e pensò: di cosa ha davvero bisogno un motociclista? Innanzitutto di tute colorate e non interamente nere, ma soprattutto le famose imbottiture a proteggere la schiena senza precludere la performance aerodinamica. Lui ebbe l'ardire di convincere dei campioni clamorosi come Valentino Rossi, ma anche lo stesso Ghedina nello sci: lo vedi così e sembra un matto, ma è un grandissimo pensatore e sposò in pieno quell'idea contribuendo a diffonderla. La genialità che cerchiamo di perpetuare ogni giorno è quella di permettere di alzare il proprio livello competitivo, mantenendo di pari passo la massima sicurezza: questa la sfida suprema.»

Il rapper Ghemon - «Genialità è pensare una cosa col giusto tempismo, prima che ci arrivino gli altri. Non è una dote fisica, ma è la dote di catturare un momento. Lo sport ha sempre fatto parte della mia vita, e nella musica mi porto dietro quella cultura del lavoro senza la quale combini poco di buono: peraltro molte intuizioni le ho avute proprio correndo! Poi è chiaro, nella vita bisogna pure che le condizioni siano quel pizzico favorevoli.»

CONDIVISIONE (condotto da Marco Maccarini)

Leonardo Ghiraldini, ex capitano della Nazionale di rugby - «Facevo il tallonatore, condividevo in mischia il peso e la spinta della squadra. Era bellissimo! Sono otto giocatori contro otto, palla introdotta in mezzo e "vince" chi conquista più metri e fa avanzare in proprio favore la line adel vantaggio. Non si parla solo di tecnica, ma di aspetto mentale e di unione. Devi conoscere forze e debolezze dei compagni di squadra, cosa puoi fare tu per lui e lui per te. Lo ritrovi nel rugby, nello sport, nella vita. Ed è condivisione tra chi gioca e chi lo segue, oltretutto tra tifoserie non ci sono gli scontri che ci sono in altri sport: nella palla ovale si condividono davvero dei valori comuni. C'è totale rispetto, indotto pure dal regolamento stesso perché se manchi di rispetto danneggi seriamente la tua squadra. Il nostro è uno sport di contatto, anche molto duro, ma non di violenza. Ho finito la carriera con la fortuna di poter decidere quando ritirarmi, con la consapevolezza di aver lasciato la maglia in un posto migliore di quando l'avevo indossata. Mentre giocavo mi laureai in Economia e oggi sono consulente aziendale, ma mi mancano tante dinamiche del rugby. Seppur in un altro campo, però, accompagnando le aziende nella transizione socio-ambientale porto avanti un pallone in maniera alternativa...»

Fabrizia D'Ottavio, ginnasta ritmica plurimedagliata - «Prima iniziai con l'individuale, poi intrapresi l'esperienza di condivisione totale h24 della squadra. Da scuola a fisioterapia ad allenamenti fino al poco tempo libero, con tanti timori e dubbi stando lontane da casa e facendo famiglia tra noi. Senza la squadra non ce l'avrei fatta a raggiungere tutto ciò che ho conquistato. Alla condivisione devo tutto! Quando ho un problema tendo a tenermi tutto dentro e risolvermela con me stessa, ma in gruppo c'erano persone profonde e carismatiche che capivano di doverti dare una mano, e mi incoraggiavano a parlare ed esternare.Dopo l'argento di Atene 2004, seguito a un oro mondiale, avevo vent'anni e calcolavo "caspita, la prossima Olimpiade è fra quattro anni" e mi sentivo scarica a livello fisico e mentale. Avevo di non arrivare al meglio della forma a Pechino 2008 e decisi di lasciare, ma non avevo ben chiaro cosa volessi fare. Mi venne voglia di provare qualcosa di diverso e mi iscrissi a università e scuola guida. Iniziai però a sentire un vuoto dentro di me, ciò che avevo lasciato. Ero un animale da branco, da sola ero disorientata, e quando passò vicino casa mia la fiaccola olimpica di Torino 2006 feci tutte le chiamate del caso per chiedere di essere riammessa nell'attività federale. Mancava una ginnasta e mi riammisero, feci qualche mese tra le riserve e con gli artigli e con i denti mi ripresi il posto da titolare.»

Luca Biganzoli, amministratore delegato di Urania Basket - «La storia della nostra squadra è tipo Cenerentola che sposa il principe, dagli oratori degli anni Cinquanta a Santa Maria del SUffragio a Milano, fino all'attuale Serie B. Quattro ragazzi appassionati di pallacanestro che fanno un viaggio negli Stati Uniti, nel Kentucky, e una volta tornati in Italia hanno dato vita a questo team. Una storia lunghissima che non ha mai trascurato l'aspetto sociale: siamo pienamente calati nel tema dela condivisione perché siamo una società che vive il territorio e le famiglie, cercando d'intercettare il senso di appartenenza e la voglia di condividere valori e contenuto. Siamo una comunità che piano piano si allarga. Quando abbiamo qualche problema troviamo una particolare motivazione nel ricordarci il motivo per cui ncque Urania, quel sogno da cui tutto cominciò. Tanti mi parlano del possibile derby contro l'Olimpia Milano, ma loro appartengono a un altro mondo. Il basket ha bisogno di rinnovarsi e ingaggiare i giovani che hanno altre necessità. Tanti ragazzi italiani seguono la NBA e meno il basket italiano ed europeo. Il nostro è però uno sport che affonda radici nei quartieri e nelle province: bisogna trattarlo bene e potrà tornare un pilastro importante per il nostro Paese.»

Riccardo Groppo, amministratore delegato di Sleep Advice Technologies - «Siamo una startup torinese e due settimane fa abbiamo vinto a Singapore il Garmin Health Award. Abbiamo un rapporto di collaborazione unico, il loro è il sensore da cui estraiamo parametri preziosi per i nostri algoritmi. Noi siamo un gruppo di esperti medici e professionisti di varie branche, che si applicano all'automotive sviluppando sistemi per predire con precisione i rischi imminenti di addormentamento del conducente dell'auto. Trasformiamo lavoro medico in algoritmo e tecnologie al servizio della sicurezza automobilistica. Abbiamo anche creato algoritmi per mettere in rapporto il sonno con la prestazione sportiva. E l'anno prossimo faremo uno studio su una causa di morte prematura come il collasso cardiaco del neonato.»

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