Luigi Ganna appartiene al ciclismo delle leggende, a quelle imprese sportive che hanno forgiato i campioni e il mondo d’oggi. Nato a Induno Olona nel 1883, è stato il primo vincitore del Giro d’Italia ed il primo italiano a superare il muro dei 40 km nel record dell’ora. Il varesino è stato un eroe a tutti gli effetti su e giù dalla bici, prima come atleta e poi come visionario imprenditore che ha sfruttato il boom della bicicletta portando le sue creazioni in tutto il mondo. Finalmente la storia del grande Ganna è stata raccontata anche al grande pubblico grazie al libro “40,405” scritto dalla giornalista Stefania Bardelli.
Ieri mattina nella suggestiva cornice dell’Arena Civica di Milano il libro è stato presentato davanti ad appassionati ed autorità, un luogo non scelto a caso perché ha un legame proprio con Ganna: proprio nell’Arena Civica infatti nel 1909 si è concluso la prima edizione del giro d’Italia vinta dal campione varesino.
«Luigi Ganna è un campione che ha scritto la storia del ciclismo, sono legata a lui anche per un motivo famigliare: mio nonno Umberto Gioia era infatti nipote di Ganna e mi ha sempre raccontato di lui - ha spiegato Stefania Bardelli a tuttobiciweb - sono cresciuta a pane ciclismo e da bambina il primo campione per cui ho tifato è stato Gianni Bugno. Mi ricordo del Giro che ha vinto nel 1990, io ero a Varese, sotto una pioggia battente nella tappa della cronoscalata verso il Sacro Monte, avevo un impermeabilino giallo ed ero emozionatissima. Ho deciso di scrivere questo libro quando Filippo Ganna ha segnato il record dell’ora, era il giorno del mio compleanno e l’ho ritenuto un segno del destino, così mi sono messa subito al lavoro. 40,405 è un insieme di ricordi, aneddoti, ma anche dati, ho voluto raccontare la storia di un campione che è venuto dal nulla e che ha dimostrato che non bisogna mai arrendersi. Ha vinto il primo Giro d’Italia e con ciò che ha guadagnato con le corse in bici ha creato la cicli Ganna, un’azienda in cui produceva biciclette che ha lanciato in occasione della 600 km che ha addirittura vinto. Spero che con il mio libro anche i più giovani possano appassionarsi a questo eroe e che possano anche seguire i campioni di oggi con la stessa emozione con cui io da bambina tifavo per Gianni Bugno».
Durante l’incontro moderato da Alessandro Brambilla si è avuto modo di fare un viaggio tra il ciclismo dei pionieri come Ganna fino ad arrivare a quello moderno che non può prescindere dai campioni del passato. Tra i tanti intervenuti c’era Alessia Cappello, assessore allo sviluppo economico del comune di Milano, che ha ricordato l’impegno della città e del sindaco Sala per il ciclismo, ma anche l’onorevole Gianfranco Librandi e gli ex professionisti Gianni Bugno e Silvio Martinello. «Luigi Ganna è il simbolo di chi sa ribaltare tutto, di cadere e sapersi rialzare, è la stessa metafora della vita che ci insegna il ciclismo - ha spiegato Martinello - Ganna ha gettato le basi per uno sport che amiamo e che sono orgoglioso di aver praticato, raccontare le sue gesta è un modo non solo per farlo conoscere anche alle nuove generazioni, ma per prenderlo da modello e non dimenticarsi che i sacrifici pagano sempre. A Luigi Ganna è intitolato il velodromo di Varese, una struttura che purtroppo negli ultimi anni è stata abbandonata, spero che questo libero sia da sprone alle autorità per riqualificarlo, sarebbe il luogo ideale per crescere i giovani corridori».
Particolarmente emozionati in prima fila c’erano Graziella e Gianni Marzoli, i nipoti di Luigi Ganna a cui Stefania ha dedicato il libro, è stato anche grazie alle loro emozioni e ai loro ricordi che è stato possibile portare a termine 40,405. Ad assistere alla presentazione c’era anche Morena Tartagni, prima italiana a conquistare una medaglia ai campionati mondiali di ciclismo che ha colto l’occasione per sottolineare l’importanza del movimento femminile. «Regalerò questo libro ai miei nipoti perché penso che la storia di Luigi Ganna sia da esempio per i giovani d’oggi - ci ha detto Morena - io ho iniziato a correre a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, era un periodo di evoluzione per il ciclismo e non era assolutamente normale che una donna corresse, era uno sport maschilista. Così come Ganna molti anni prima, noi abbiamo dimostrato determinazione nell’inseguire i nostri sogni, c’erano cose che non ci era permesso di fare, ma con la mia passione ho cercato di anticipare i tempi. Quel giorno ai mondiali quando ho vinto la medaglia di bronzo ho capito di aver vinto la mia battaglia».