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VERRE. «IN FRANCIA C'È UNA VISIONE DEL CICLISMO DIFFERENTE»
di Nicolò Vallone | 19/01/2022 | 08:15

Mentre un 39enne Domenico Pozzovivo si allena duramente (e gli rivolgiamo un grosso in bocca al lupo) per strappare un contratto, c'è un 20enne Alessandro Verre che cinque mesi fa ha firmato il primo contratto da professionista: un triennale con l'Arkea Samsic. Ad oggi è lui, ex campione nazionale allievi MTB e CX, "instradato" poi da Casillo Petroli Firenze e Colpack Ballan, a portare la bandiera della Basilicata nel ciclismo internazionale, in una sorta di passaggio del testimone tra corridori lucani di generazioni differenti.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Verre nel ritiro pre-stagione in Spagna, vicino Valencia:

Alessandro, raccontaci brevemente la tua evoluzione da mountain bike a ciclocross a strada:

«Iniziai per gioco nel mio paese, Marsicovetere, decidendo di seguire alcuni amici che già praticavano. Facevo tutte le categorie del fuoristrada e in strada andavo solo in allenamento domenica quando non avevo gare di MTB o CX. Quando poi nella categoria junior mi sono trovato davanti al classico bivio, ho deciso di mettermi alla prova su strada: la storia del ciclismo sta soprattutto lì e, nonostante il cross country sia sport olimpico, la strada ti dà più visibilità (Gaia Realini nei giorni scorsi ce l'ha detto chiaramente: in Italia l'asfalto può darti da vivere, lo sterrato difficilmente, ndr).»

Ormai è una costante per i giovani come te iniziare con le "ruote grasse"

«È uno dei cambiamenti fisiologici del ciclismo moderno. Oggi ci abituiamo da ragazzi a fare un po' di tutto così da acquisire qualcosa da ciascuna disciplina. Questo ti aiuta molto nel formarti come corridore.»

Perché hai scelto l'Arkea Samsic?

«Mi hanno cercato e voluto fortemente e credono molto in me, non mettono pressioni e vogliono che io faccia esperienza per crescere il più possibile. Avevo offerte pure dall'Italia e dal World Tour, ma ho scelto la Francia e la categoria Professional: ho voluto evitare di fare un salto ancora troppo grosso per me, ma al contempo ho sposato un progetto convincente in un Paese dove il ciclismo è visto in modo diverso rispetto all'Italia. Basti pensare che il Tour de France è il terzo evento sportivo più importante al mondo dopo Olimpiadi e Mondiali di calcio (ricordiamo che l'Arkea, insieme all'Alpecin Fenix, è una dei due Pro Team ad avere la wild card per i Grandi Giri, ndr). Una conferma di tutto questo l'ho avuta quando ho partecipato al Tour de l'Avenir ad agosto.»

E prima di quel Tour avevi vissuto alla grande il Giro Under 23, correndo al fianco di Juan Ayuso in maglia Colpack: lui ha cannibalizzato la corsa, ma tu gli eri sempre di fianco (o alle calcagna, a seconda dei punti di vista) e hai chiuso 6° in classifica generale!

«Bella esperienza che ricorderò con piacere, l'anno prima in Casillo ero uno dei primi a staccarsi in salita mentre a giugno 2021 ho toccato con mano la mia evoluzione in Colpack.»

Restando in tema di corsa rosa e di correre insieme a grandi scalatori, che effetto ti fa ora essere compagno di un "vincitore in rosa" come Nairo Quintana e di un altro capitano come Warren Barguil?

«Tantissima emozione, sono cresciuto guardandoli in tv e ora li osservo con grande ammirazione. I grandi campioni vanno guardati e c'è solo da imparare. Nei vari ritiri ho avuto modo di conoscerli e scambiare parole preziose.»

Nelle grosse squadre i corridori si dividono generalmente in gruppi di lavoro, ciascuno con un diesse di riferimento, spesso in base alla nazionalità. Tu sei l'unico italiano in un team francese: come sei "collocato" all'interno dell'organico?

«A volte mi alleno coi colombiani, a volte coi francesi, altre volte gruppi misti. Quindi cambia anche il direttore con cui lavoro di volta in volta, così come i meccanici e i massaggiatori, ma il mio referente è sempre Yvon Ledanois.»

Come inizierà la tua avventura professionistica?

«Aspettiamo che la squadra pubblichi il calendario completo (per ora si sa che il primo capitano a iniziare sarà Barguil tra Maiorca e Murcia, ndr).»

Parliamo un attimo della tua terra, la Basilicata: non è una delle regioni di maggior tradizione ciclistica, senti la responsabilità di rappresentarla nel mondo delle bici?

«Fa molto piacere naturalmente, ma cerco di vivere la situazione in maniera equilibrata. Un po' come quando ho vinto i titoli nazionali da allievo nelle specialità su terra: grande ammirazione per chi aveva vinto prima di me, ma una volta che hai conquistato il titolo non è che ti cambia la vita dall'oggi al domani. La cosa a cui tengo è rimanere sempre quello che sono.»

Piccola curiosità in salsa lucana: conosci personalmente Pozzovivo?

«Vi dirò, quest'anno sarà complessivamente il mio decimo anno in bicicletta e non l'ho mai conosciuto di persona! Anche perché viviamo a 50 km di distanza.»

Ultima domanda. L'1 dicembre tu e gli altri neoprofessionisti italiani avete ricevuto a Milano il saluto di benvenuto del nuovo c.t. azzurro Bennati: cosa ti ha colpito di più nelle sue parole?

«In questi anni dobbiamo principalmente capire quale sarà il nostro compito: se vincere o aiutare a vincere.»

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