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LE STORIE DEL FIGIO. GIGI MELE: FAMIGLIA, CICLISMO E RAI
di Giuseppe Figini | 02/05/2020 | 07:50

Una bella pubblicazione presentata nel settembre 2017 ha ricordato la figura di un buon corridore dei primi anni 1960, illustrata nel libro scritto dal figlio e che ha ripercorso la carriera pedalata, proseguita poi anche con altre funzioni, pure nel ciclismo, e altri molteplici aspetti della vita del genitore e della famiglia tutta.

Il protagonista è Luigi, “Gigi” per tutti, Mele. Già il titolo, “IL VOLO DEL GREGARIO”, pubblicato da Graus Editore (info@grauseditore.it – tel. 081-7901211), lascia agevolmente presagire l’attitudine ciclistica di Gigi Mele. L’autore è suo figlio Silver, noto giornalista sportivo partenopeo e conduttore televisivo di successo. E’ un addendo non secondario che arricchisce, di primissima mano, l’aneddotica proposta, senza ridondanza, senza retorica familiare, che potrebbe comunque essere giustificata, per la figura del genitore-corridore. E già il titolo testimonia ampiamente il “taglio” narrativo. Del resto è lo stesso Gigi Mele, che con il suo disincantato e sempre vivace carattere, con il suo costante, estroverso, scherzoso modo di proporsi con eloquio ricco di battute ironiche, sovente anche auto-ironiche, rifuggendo sempre da sentimentalismi e auto-promozioni pure nei ricordi. E la “prima” del libro è stata ambientata nello scenografico foyer dell’Auditorium della Rai di Napoli. La Rai, infatti, riveste una parte importante della vita di Gigi Mele e famiglia, come vedremo. E’ solito affermare che ha tre famiglie: quella vera, quella del ciclismo e quella della Rai.

Per il ciclismo il suo motto è “Campioni si nasce, magari corridori si diventa” e definisce la sua “un’umile carriera”.

E’ nato a Calvi Risorta, in “Terra di lavoro”, com’è chiamata la zona nord della provincia di Caserta, l’11 settembre 1937.

A sei anni, con la famiglia, lascia la Campania e si trasferisce a Torino. Già però nella primissima giovinezza, nelle vie o piazze di Calvi Risorta, non trascurava occasioni per salire “n’coppa alle biciclette” che trovava parcheggiate, adattandosi a pedalare nei modi consentiti dalle misure del modello preso in prestito e compiendo varie evoluzioni applaudite dagli occasionali spettatori, prima di riconsegnarle ai proprietari legittimi.

E anche in Piemonte, ancor più che in Campania, la sua passione incrementa frequentando e ammirando corridori d’ogni categoria oltre che diventare fervente supporter della maglia granata del Torino, il Grande Torino, falcidiato dalla tragedia aerea di Superga del 4 maggio1949.

E stacca un tesserino agonistico anche lui incrociando la sua carriera, nelle varie categorie, fra altri, con due esponenti di gran rilievo dapprima del ciclismo piemontese, poi di quello nazionale e internazionale che rispondono ai nomi, in ordine alfabetico, di Franco Balmamion e Italo Zilioli. Il primo citato, canavesano puro, come narra il libro del giornalista inglese Herbie Sykies “The Eagle of Canavese” (disponibile solo in inglese), è il vincitore del Giro 1962 e 1963 senza mai ottenere un successo di tappa. E’ un fortissimo regolarista, campione d’Italia, più volte azzurro, con ottimo palmarès. Il suo grande amico torinese ma orobico per origine della famiglia, Italo Zilioli ha sempre e solo sfiorato il rosa, quattro volte sul podio nella generale (di cui tre sul secondo gradino) del Giro, di un anno più giovane, con lunga carriera che lo colloca comunque fra i grandi delle due ruote. Il rosa, inteso come maglia, forse non si addiceva a Italo che ha però indossato, per sei giorni, quella gialla e levandosi molte soddisfazioni – seppure inferiori alle attese e alle possibilità dimostrate nel folgorante inizio di carriera fra i professionisti – nella sua lunga attività.

I due piemontesi mantengono sempre viva amicizia fra loro condividendola anche e sempre, seppure da molto tempo a distanza, con Gigi Mele che nel 1960, dopo avere corso per la forte e storica UCAT (Unione Ciclo Alpina Torino), società nata nel lontano 1907 e dopo avere battuto allo sprint l’amico Balmamion a casa sua, nella classica Coppa Città di Cuorgné, passa nella massima categoria. Sono circa una trentina le affermazioni negli anni d’avvicinamento al professionismo per Gigi Mele. Debutta formalmente nella massima categoria con la grande Carpano, formazione torinese con le maglie zebrate come la Juventus, diretta dal general manager Vincenzo Giacotto e dal d.s. Ettore Milano. L’anno successivo e fino al 1964 corre per la Gazzola, squadra di un pastificio di Mondovì con il grandissimo scalatore lussemburghese Charly Gaul che ha avuto fra i d.s. anche Ferdi Kubler e Luciano Parodi, con anche una buona nidiata di giovani, almeno allora, fra i quali Franco Cribiori  e Marino Vigna.

Nella squadra e nel gruppo, nei momenti di stanca, quando poteva e il fiato glielo consentiva, Gigi Mele rallegrava tutti cantando motivi della musica partenopea, soprattutto quelli del popolare chansonnier, il pacioso, ammiccante, Aurelio Fierro.

La vita è dura nel 1965 e nel 1966 per Gigi Mele corridore che rimane, come si suole dire, a piedi e gareggia quale indipendente per approdare nel 1966 alla Queen Anne, piccolissima squadra svizzera che non ha in pratica lasciato traccia negli archivi ciclistici.

Fu nel 1962 che Mele colse il suo unico successo fra i professionisti, la Bellinzona-Vaduz, capitale del Liechtenstein, nel Giro della Svizzera. E’ di rilievo anche il secondo posto nella tappa conclusiva del Giro 1964, la Biella-Milano, battuto al Vigorelli dal tedesco Willi Altig, fratello maggiore – sovente descritto quale afflitto d’indolenza ciclistica - di quel concentrato di forza e potenza che era il Rudi e suo compagno di squadra in varie formazioni. All’epoca erano entrambi nella francese St. Raphael (marca d’aperitivi, il primo abbinamento extra-ciclistico di Francia) del vincitore di quel Giro, Jacques Anquetil, re del cronometro e corridore di classe sopraffina. La squadra era diretta dal vulcanico e popolare Raphael Geminiani, con famiglia d’origine romagnola, di Lugo, che aveva costituito in proprio nel 1954, in parallelo e contemporanea con la Nivea-Fuchs di Fiorenzo Magni. Gambe e menti svelte caratterizzano i due corridori e pure imprenditori ancora pedalanti a ottimi livelli, anche in età ciclisticamente avanzata. E Gigi, al proposito, “Almeno fosse stato Rudi” si rammarica ancora oggi, scherzosamente, il rimpianto sarebbe meno doloroso certamente.

Il distacco dal ciclismo non dura molto e Gigi Mele diventa motociclista dopo essere stato assunto da “mamma Rai” ed entra subito nel ruolo in importanti gare, dove può mettere a frutto la sua conoscenza delle dinamiche interne del gruppo. Può contare su molti ex colleghi/amici. Un po’ il percorso, con qualche differenza (lui è stato “professionista” dice ridendo), del noto romagnolo Guerrino Farolfi ed Elvezio Palla (1915-2007), nativo di Leonessa, nella zona del Terminillo, che hanno guidato molti radiocronisti Rai, così come Gigi Mele. E i “passeggeri”, anche di altri suoi colleghi, erano note e seguitissime voci del giornalismo radiofonico che si sono alternate nel tempo nel racconto del ciclismo.

Dagli inizi degli anni 1980 ritorna in Campania e lavora alla sede Rai di Napoli quale tecnico montatore RVM (Registrazione Video Mobile) fino al 2000. E quando il Giro d’Italia o il ciclismo di vario tipo, è in zona, non manca d'esserci, con la sua sempre folta chioma, ora candida, scherzando su qualche acciacco di salute, con l’abituale vivacità, sempre però rispettosa del lavoro altrui.

E’ tornato da dove era partito, a Calvi Risorta, godendosi la sua bella famiglia, con la moglie Tonia, presenza importante e riferimento della sua vita, con i figli Silver e Toni, anche lui tecnico Rai, sulle orme del padre. Nell’ordine di Gigi la famiglia è al primo posto, sempre, davanti al ciclismo e alla Rai. Non si sbilancia sull’ordine di preferenza delle ultime due opponendo quale risposta il suo largo sorriso con battute variabili e variate. E mantiene il collegamento con vari amici del suo ciclismo stile “vecchio Piemonte” di molti e molti anni fa vivacizzato dalla sua vivacità e dalla sua innata simpatia “made in Campania”.

 

 

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