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LE STORIE DEL FIGIO. QUEL RIMPROVERO A COLNAGO
di Giuseppe Figini | 15/09/2018 | 07:56

Un lungo salto indietro nel tempo, addirittura nel 1950, per ricordare un episodio che riguarda un nome importante del ciclismo, del mondo delle biciclette, quello di Ernesto Colnago.

Aveva diciotto anni Ernesto Colnago, allora anche giovane corridore nelle fila di una società di prestigio come l’Unione Sportiva “Aurora” Desio, importante centro della Brianza. Oltre che correre in bicicletta il giovanissimo Ernesto Colnago, classe 1932, era già da diverso tempo impegnato nel lavoro presso la nota fabbrica di biciclette Gloria di viale Abruzzi, a Milano, fondata nel 1921 da Alfredo Focesi i cui corridori erano definiti “ i garibaldini”.

Quotidianamente – e già da qualche anno – da quando aveva iniziato a lavorare “quasi in regola”, come si diceva, già prima dell’età allora canonica dei quattordici anni, Ernesto Colnago compiva in bicicletta il percorso Cambiago-Milano e ritorno. E lì ha appreso i primi rudimenti della tecnica di costruzione ciclistica che poi ha interpretato ed elaborato, da par suo, con la sua peculiare genialità in materia, in proprio, partendo dal piccolo spazio, 25 mq., trasformato in officina di via Garibaldi 10, nella sua Cambiago. Era il 1952 e da allora è sempre stato un continuo “crescendo” rossiniano, anzi “colnaghiano”, che dura tuttora.

Non corriamo avanti, però. Fermiamoci al periodo del giovane Ernesto Colnago, in versione corridore, nelle fila dell’U.S. Aurora Desio e di un episodio dell’anno 1950 qui riassunto nell’immagine proposta dalla lettera, addirittura “raccomandata”, inviata a “Colnago Ernesto Cambiago”, in data 7 agosto 1950, firmata dal presidente Pierino Lissoni.

Il tenore della missiva è duro, perentorio, ultimativo. Pierino Lissoni, importante commerciante di vini, era il presidente dell’U.S. “Aurora” Desio mentre il fondatore è stato il cav. Mario Mariani, poi dirigente sportivo a livello nazionale e fra i fautori, agli inizi degli anni 1960, della prima Lega Ciclismo con Fiorenzo Magni. Il figlio di Pierino, l’avvocato Roberto Lissoni, ha collaborato poi professionalmente con continuità con Colnago oltre che con la Lega Ciclismo Professionistico.

Colnago gareggiava nella formazione desiana e, nella corsa incriminata, la Coppa Brasca – cronometro a squadre valevole per la qualificazione alla nobile “Coppa Adriana” - così denominata in memoria di una figlia di Adriano Rodoni, prematuramente scomparsa, la più importante del panorama italiano nella specialità. Suoi compagni di squadra, nella circostanza, erano Gianni Colombo, Gian Franco Piccoli e Nando Brandolini, poi buon professionista per sei anni. Nell’Aurora, fra i molti i compagni che Colnago ricorda con affetto, c’era pure Gianfranco Girella, specialista soprattutto della pista, che sarebbe diventato noto fotografo in vari settori e pure nel ciclismo, oltre agli amici e sostenitori di Cambiago quali Luigi Oggioni, Dante Brambilla (il papà di Sandro, conosciuto speaker e giornalista) e molti altri.

Nella lettera Lissoni rimprovera con durezza a Ernesto Colnago lo scarso impegno posto nella prova corsa il mattino. E Colnago ammette la sua colpa giustificandosi poi con il fatto che il pomeriggio avrebbe partecipato a una corsa aperta ai non tesserati, dalle sue parti, corse definite in lombardo “tremagg”, dove c’erano appetibili – letteralmente – premi in natura. E, a sua parziale giustificazione, racconta d’avere vinto un’oca che, all’epoca, dove la fame era ancora tanta, fu particolarmente apprezzata in casa sua.

La giustificazione addotta non fu sufficiente a evitargli una sospensione ma, già alla fine della stagione, Pierino Lissoni premiò l’impegno di Ernesto a riparare la sua colpa, aiutando i compagni di squadra a vincere in due importanti gare, rinunciando alle sue possibilità personali di buon velocista, vincitore anche di una classica giovanile come la Coppa Caldirola.

Proprio alla fine di quell’anno Pierino Lissoni regalò, a premio del suo impegno e del suo “ravvedimento operoso”, al giovane Ernesto un abito nuovo, due camicie e un paio di mocassini.

La lettera, in originale, ha sempre trovato un posto d’onore, in bella evidenza, nell’ufficio di Ernesto Colnago: per il destinatario, è ancora oggi, testimonianza di un’amarezza poi vissuta come grande lezione di vita e serietà.


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