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L'ORA DEL PASTO. ALESSIO ANTONINI, IL GREGARIO CHE NON SI E' MAI FERMATO
di Marco Pastonesi | 27/07/2025 | 08:20

La storia racconta che quel giorno – 18 marzo 1978, Milano-Sanremo, edizione numero 69a Imperia attaccò Alessio Antonini, gli rispose Beppe Saronni, si unì Yves Hézard e si accodò Roger De Vlaeminck, sul Poggio il quartetto aveva 28” di vantaggio sul gruppo, e in fondo al Poggio, caduto Hezard, erano rimasti in tre. La leggenda vuole che in quel momento – a meno di 10 km dall’arrivo – Saronni propose ad Antonini di tirargli la volata in cambio di 10 milioni di lire (la cifra, nel tempo e nei bar, sarebbe cresciuta fino a 50 milioni), ma Antonini, spavaldo, gli rispose “enculet, oggi la vinco io”. La cronaca tramanda che “il semisconosciuto” Antonini scattò lungo, troppo lungo, ai 250 metri, che il gitano De Vlaeminck, 30 anni, sorprese il giovane Saronni, 20 anni, primo De Vlaeminck, secondo Saronni e terzo Antonini, che così non solo perse la Sanremo, ma anche 10 (o forse 50) milioni.

Antonini di una famiglia operaia, sesto di sei, quattro fratelli e due sorelle, Salò di anagrafe, Vobarno di casa, in casa anche il nonno. Antonini di una famiglia sportiva, Luigi e Alessandro per il ciclismo, fino a dilettanti, Armando per il calcio, quasi all’Atalanta, e anche lui ciclismo, elementari e avviamento poi lavoro, acciaierie, gli allenamenti la sera, la bici e due pile, il giro dei tre laghi – Garda, Idro e Ledro -, qualche volta il padre, intenerito, gli andava incontro con il Galletto e lo scortava sano e salvo a casa. Antonini passista veloce che si difendeva in salita, 12 vittorie nel 1971, due nel 1972, professionista con la Jollj Ceramica nel 1973, e gregario sarebbe stato fino all’ultimo giorno del 1981 quando si arrese a un ambiente che non riconosceva più. “Ma ti pare giusto che i corridori debbano pagare per diventare professionisti?”. Una domanda cui non sapeva trovare una risposta decente.

Antonini e il Giro d’Italia del 1975, ventunesima e ultima tappa, l’arrivo sullo Stelvio, “io ti porto ai piedi dello Stelvio, poi tocca a te” disse al suo capitano Fausto Bertoglio, l’anno dopo Bertoglio sarebbe diventato il suo testimone di nozze. Antonini e il Tour de France del 1975, costretto a ritirarsi perché della sua squadra erano rimasti soltanto in tre e la spesa era considerata superiore alle speranze e ai sentimenti. Antonini e il Tour de France del 1976, tenacemente cinquantanovesimo, “perché il Tour è il Tour, perché al Tour non ti regala niente nessuno, perché al Tour ogni giorno devi fare la tua corsa, anche per sopravvivere”. Antonini e quel Giro d’Italia (ne disputò otto, dal 1973 al 1980) in cui patì una crisi di fame, “mancavano 70 km all’arrivo, non sapevo più neanche dove fossi, finché qualcuno mi allungò qualcosa da mangiare, mi ripresi, gli ultimi 10 km mi misi in testa a tirare il gruppetto dei ritardatari, e riuscimmo a salvarci dal fuori tempo massimo”. Antonini e quel Giro d’Italia, sulle Alpi, un gruppo di tifosi giunto da Vobarno ad aspettarlo sul bordo della strada, loro che gli domandarono “la vuoi una spinta?”, lui che rispose “sennò che siete venuti a fare?”. Antonini e quella Milano-Sanremo del 1978, “ero convinto che partendo lungo li avrei sorpresi e ce l’avrei fatta, ma il fondo stradale era bagnato, mi scivolò la ruota, gli altri se ne accorsero e reagirono”. Antonini e la filosofia del gregario, “facevo il gregario anche nelle giornate di libertà in cui potevo fare la mia corsa, così aiutavo i compagni”. Antonini e la sua filosofia di corridore,ci ho sempre messo tutto quello che avevo”, “volevo arrivare al traguardo con l’onestà di dirmi che più di così non avrei potuto fare”. Antonini e il giudizio di Giovanni Battaglin su di lui, “il gregario che avrei sempre voluto con me”.

Oggi Alessio dipende da Luisa. Si conobbero alle corse, lei la figlia di Gigetto Rivetta, prima corridore, poi direttore sportivo, negozio di pescheria e banco del pesce al mercato, famoso anche perché ai suoi discepoli dava appuntamento alle 15, poi però partiva alle 14.50, chi-c’era-c’era, gli altri avrebbero inseguito, un buon metodo per cominciare l’allenamento a tutta, a di più, alla morte. “Conosciuti, innamorati, sposati, due figli dediti al nuoto, una nipotina in arrivo – racconta -. Allora le donne erano un tabù: il corridore ideale era meglio che non avesse la fidanzata, la fidanzata ideale era meglio che alle corse non andasse. Alessio correva per la IAG Gazoldo, ‘sta’ a casa’, mi ordinò, invece andai, lui fece ‘un garone’, quando tornò a casa gli svelai la verità, ‘visto che non vuole dire niente?’”. Antonini “precisino”, Antonini “gran lavoratore in bici e in macchina”, Antonini “prima il ciclismo poi il lavoro, rappresentante, erano la sua vita, non aveva orari, neanche la domenica”.

Antonini che, smesso di correre, per tre anni fu massaggiatore, poi si staccò dal ciclismo, “ma dopo qualche altro anno non resistette e si riavvicinò, il richiamo delle corse, anche lungo la strada, per vedere il gruppo e salutare gli amici”. Antonini che “continuò a pedalare finché il mal di schiena glielo impedì”. Antonini che adesso, Giro d’Italia o Tour de France, si siede davanti alla tv e guarda quei cavalieri, a lui così familiari, a due ruote. Antonini tranquillo, sorridente, sereno, spensierato, spaesato.

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