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AMADIO. «STO STUDIANDO, MA HO TANTE PROPOSTE PER IL NOSTRO MOVIMENTO»
di Alessandro Brambilla | 27/04/2021 | 08:10

Da alcune settimane Roberto Amadio è presidente della Struttura Tecnica Nazionale della Federciclismo. Roberto è stato corridore professionista e in seguito manager di squadre importanti. E’ un veneto di Cinto Caomaggiore, ha accettato con entusiasmo la proposta del consiglio federale e sta organizzando il lavoro a breve e medio termine. Quello attuale è periodo di pandemia e restrizioni: Amadio inizia pedalando in salita.

«Tutto sommato il ciclismo regge bene – fa notare Roberto, 57 anni, da corridore professionista compagno di squadra di Francesco Moser, Vittorio Algeri, Claudio Corti, Stefano Allocchio, Gianni Bugno - e stiamo salvando il 70% del calendario. Non è poco constatando ciò che accade in altre discipline sportive. Hanno grandi meriti gli organizzatori del ciclismo».

Cosa intende modificare o rafforzare in primis?
«Per il momento sto imparando tantissimo e ringrazio Ruggero Cazzaniga e Giorgio Elli che mi stanno spiegando molto sui regolamenti e altri aspetti da tenere in considerazione. Riguardo agli juniores sono già intervenuto: nel caso di giornata con una o al massimo due gare in tutto il territorio nazionale ho chiesto di limitare a sei corridori per squadra la partecipazione, onde garantire al maggior numero di società lo svolgimento dell’attività. Sull’argomento mi sono altresì consultato con svariati direttori sportivi della categoria stessa».

A proposito, la categoria juniores non si è eccessivamente professionalizzata a livello internazionale?
«Per me dovrebbe essere ancora la categoria in cui si va alle gare per divertirsi, però c’è effettivamente il trend imposto da squadre con ottima organizzazione, di cui 4 o 5 con qualità di atleti superiori ad altre, per cui ci si avvicina di più al concetto di professionismo anziché a quello di dilettantismo che a 17 e 18 anni dovrebbe prevalere. Un po’ si sta esagerando».

Viviamo in un’epoca in cui nel professionismo su strada emergono corridori che hanno ottenuto grandissimi risultati anche nel ciclocross. Lei spingerà gli stradisti verso il ciclocross o comunque la multispecialità o preferirà farli agire in base all’istinto?
«Il fuoristrada è un mondo in cui gli sforzi sono brevi, al massimo un’ora o nel caso della mountain bike un’ora e mezza, e la mentalità è ancora quella di divertirsi senza esasperazione. È la chiave per far crescere con meno stress corridori che poi, gareggiando su strada, sono fisicamente e mentalmente più freschi, oltre ad essere grandi atleti e campioni. Il fuoristrada è ancora un ambiente tranquillo in cui i ragazzi possono crescere bene. Il centro studi federale ha iniziato da alcuni anni a monitorare i fuoristradisti anche per valutare quelli che possono approdare alla strada con velleità importanti».  

Durante i talk-show di campagna elettorale per la presidenza federale, i candidati venivano subissati di domande riguardanti il ciclismo giovanile. E lei cosa farà per ragazzi e ragazze più giovani?
«Ribadisco che sono ancora in fase di studio. Sicuramente cercheremo d’incentivare i ragazzi a gareggiare in bici utilizzando i nostri 135 centri di ciclismo e i 25 velodromi che abbiamo in tutta Italia, anche perché sono location in cui possono allenarsi in sicurezza. Sto monitorando le categorie fino ai 16 anni».

Abbiamo un ciclismo professionistico italiano in difficoltà. Lei da grande esperto del professionismo cosa ne pensa?
«Alcuni incidenti, come ad esempio la caduta di Andrea Bagioli che sta recuperando, ci hanno privati di forze importanti. Ci sono periodi in cui mancano corridori che possono vincere gare a tappe, però giovani che crescono li abbiamo e diventeranno molto competitivi. E poi c’è Moscon che sta tornando ai livelli migliori. C’è da soffrire un po’ senza essere gli unici: pensate che è dal 1985 che un francese non vince il Tour de France. Lasciamo crescere i nostri ragazzi, sono fiducioso. Peccato per la caduta di Vincenzo Nibali, spero possa partecipare al Giro d’Italia».

Cosa ne pensa delle squadre Continental ? Sono un fattore numerico per completare il cast di partenti in gare non contemplate nel World Tour oppure sono propedeutiche per lo sviluppo dell’attività ?
«A livello mondiale le squadre Continental sostituiscono i dilettanti, siamo rimasti solo noi ad avere gli under 23 ed elite senza contratto. E’ un momento di transizione e c’è chi si lamenta per la partecipazione delle Continental alle gare under 23. Effettivamente i corridori reduci da gare dei professionistiche fanno la differenza nelle corse per soli dilettanti. L’Italia si adegua al movimento internazionale e noi abbiamo squadre Continental guidate da tecnici qualificati che fanno un buon lavoro».

Lei quando era team manager della Liquigas ha mai avuto la tentazione di creare la squadra femminile?      
«Il movimento femminile è cresciuto molto negli ultimi due-tre anni, quando ormai la squadra non l’avevo più. Una crescita dovuta all’attività degli organizzatori e delle Nazionali. Ammetto di non aver mai pensato di allestire una Liquigas femminile».  

Esiste un dilemma: nel ciclismo femminile va creato un vero professionismo o è meglio la situazione attuale, con la  possibilità di tesserare le più forti anche in corpi statali seppur con perenne “status” di dilettantismo?
«Molti Gruppi Sportivi catalogati World Tour ormai hanno creato la formazione femminile. Addirittura la Trek-Segafredo ha parificato i contratti minimi tra maschi e femmine. Si va verso il professionismo femminile. I corpi statali sono importanti, ma se si andrà verso il professionismo spetterà alle atlete scegliere la soluzione a loro più conveniente».

I percorsi delle gare femminili, specialmente di quelle a  tappe, non sono troppo severi altimetricamente?   
«Le corse difficili altimetricamente sono sempre più numerose anche nel settore maschile, pure in corse giovanili. E’ un trend scelto dagli organizzatori. Comunque altimetrie a parte, le corse diventano dure sempre per merito dei protagonisti».

Cosa promette agli organizzatori della pista? 
«Cercheremo di incrementare l’attività su pista. I nostri commissari tecnici hanno rivelato che gli atleti disposti ad allenarsi in pista sono sempre più numerosi anche per il periodo della pandemia. Dobbiamo creare più movimento, la pista è un luogo sicuro, servono più manifestazioni. La pista fa bene per tanti motivi a chi pratica ciclismo su strada».

E col settore mountain bike come sono i rapporti?  
«Non sono ancora in contatto però m’interesserò di cross country, marathon e altre specialità. Come ho detto prima, la mountain bike è un mondo affascinante che inizierò a frequentare. Lo farò pure per il bmx».  

Farete visita agli istituti scolastici?
«Fa già parte del programma federale. C’è da capire se potremo reclutare forze nuove anche con altri sistemi».

Per qualche minuto si rimetta i panni da team manager della Liquigas o Cannondale professionistica. Recentemente dei  grandi clubs calcistici hanno tentato di creare una  Superlega per garantirsi i tantissimi soldi dei diritti televisivi e della pubblicità. Riusciremo ad avere una Superlega ciclistica in cui i 120 milioni dei diritti televisivi del Tour de France finiscono almeno in parte nelle casse dei Gruppi Sportivi, idem per altri eventi-top?
«E’ un argomento di cui si parla da anni nel ciclismo. Il ciclismo ha tre componenti: squadre, organizzatori, Unione Ciclistica Internazionale. Nel calcio le componenti sono due: squadre e Federazione, oppure a livello internazionale squadre e Uefa. Diventa più facile muoversi nel calcio. Finchè nel ciclismo ci sarà la separazione tra società organizzatrici e squadre ritengo assai difficile che un organizzatore ceda i soldi dei diritti  televisivi ai Gruppi Sportivi. Nel ciclismo i dirigenti dei teams professionistici ci avevamo provato con l’appoggio di Hein Verbruggen (ndr, è stato anche presidente UCI). Ma quell’anno l’ASO per distaccarsi maggiormente dall’UCI organizzò la Grande Boucle con un maggior coinvolgimento di Stato francese e Federciclismo di Francia per legittimare la forza e l’indipendenza del Tour. Per l’esperienza che ho, se non c’è una presa di posizione forte da parte dell’UCI sarà difficilissimo per le squadre acquisire i diritti televisivi».  

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