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LE STORIE DEL FIGIO. MARINO BASTIANELLO, SARONNI E QUELLO STAYER...
di Giuseppe Figini | 19/02/2021 | 07:00

Marino Bastianello, padovano di Este, dove è nato il 27 giugno 1955, è fra quei corridori che, pur avendo i “numeri” dimostrati nelle categorie fino ai dilettanti, non ha trovato il “salto”, in positivo, fra i professionisti, pur essendo un atleta poliedrico, abile su strada, capace di tenere in salita, dotato di un buono spunto veloce, e, soprattutto, in pista, in varie specialità.

Il suo nome si ricorda accanto a quello di Giuseppe Saronni, il grande “Beppe nazionale” che, in coppia con lui, il veneto ha vinto, come testimoniano le immagini qui presentate, la Sei Giorni di Milano dilettanti nel 1976 all’allora nuovo Palazzo dello Sport di San Siro del quale – purtroppo – rimane solo un ormai lontano ricordo. Le due immagini rappresentano il momento della premiazione con il “presidentissimo” FCI Adriano Rodoni e Gianni Pozzi, appassionato titolare dell’omonima squadra brianzola di Beppe Saronni e altri eccellenti corridori. La coppia di vincitori è unita, come s’intravvede, dalle bici con l’asso di fiori, simbolo del fuoriclasse dei costruttori, Ernesto Colnago, utilizzate da entrambi, sia pure di squadre differenti.

E’ probabilmente stato il punto più alto della carriera di Bastianello, contrappuntata da speranze, sovente deluse, anche per il temperamento estroso, non sempre costante e perfino, a suo modo, un po’ capriccioso. E’ una sorta di “refrain”, un ritornello comune ritrovabile nei giudizi espressi da vari tecnici e dirigenti, aldilà di quello di specifica valenza attitudinale a varie specialità delle due ruote dimostrate – soprattutto quando lo voleva - in stretto ambito agonistico.
Una carriera iniziata nel Club Pilastro di Este e proseguita, in un continuo succedersi di maglie, nel C.C. Este Despar, nella Ferrauto, nella Nuova Baggio San Siro e nella Vinicola Monti di Rescalda dove correva anche il comasco Antonio Fusi poi salito alla ribalta nazionale più che per le doti di pedalatore, diciamocelo, parafrasando amichevolmente un noto intercalare, quale Commissario Tecnico degli azzurri, sia dilettanti, sia professionisti, succedendo nella funzione operativa al grande Alfredo Martini.

Nel palmarès dell’eclettico Bastianello si ritrovano, negli anni, affermazioni e piazzamenti di buon rilievo, conseguiti con il successo al Trofeo Sportivi Magnaghesi, un quarto posto nel G.P. Liberazione, due vittorie di tappa nella Vuelta al Tàchira, in Venezuela, in due anni differenti, primo posto nell’Alassio-Montecarlo così come alla Coppa Fiera di Mercatale dove ha prevalso su 500 partenti, oltre a quella di Malva, sempre nell’aretino, nel paese natale dei Mealli, stirpe ciclistica di specifico rilievo. E quanto precede è per la strada.

Per la pista figurano vari titoli italiani, ripartiti fra quartetti dell’inseguimento e mezzofondo. A proposito di mezzofondo, o stayer che di si voglia, all’epoca ancora in pista con le monumentali motociclette di grossa cilindrata, è da ricordare che Bastianello, in pratica un neofita della specialità, vince a Bassano del Grappa, nel 1978, al rullo della moto guidata da Domenico De Lillo, la prima maglia tricolore del mezzofondo. De Lillo, oltre che allenatore stayer, era anche il direttore sportivo della Nuova Baggio, una formazione leader, ricca di talenti, una creatura di successo di “patron” Alcide Cerato, che aveva nello staff direzionale tecnico sportivo, anche Fausto Ferrario e Sergio Zini.

Solo un mese più tardi, a fine agosto, sulla pista di Monaco di Baviera, Bastianello, sempre condotto da De Lillo, si cimenta nel torneo mondiale. Non passa subito la qualificazione ma, correndo bene il “recupero”, riesce ad accedere alla finale per il titolo in un torneo e in un ambiente, dove olandesi e tedeschi recitano, quasi per inveterata abitudine, la parte del leone, sia in pista, sia giù dalla pista, attraverso dinamiche esplicite – e pure  implicite - che caratterizzavano il mezzofondo.

E lo scaltro De Lillo, espressione e conoscitore dell’ambiente, già subito all’inizio della finale, fa un po’ orecchie di mercante ai sintetici inviti urlati da Bastianello per ridurre l’andatura ma non chiude il manettino del gas. Le visioni della condotta di gara non coincidono assolutamente e, assai inopinatamente, quando era in terza posizione, dopo circa un quarto d’ora di gara, si stacca dal rullo e si ritira. “Dovevo ancora carburare e non volevo entrare subito in bagarre, come invece voleva De Lillo” è la sua personale opinione, tutta in linea, del resto, con il suo carattere impulsivo.

L’anno seguente, in finale, ad Amsterdam, ottiene l’ottavo posto nel torneo iridato. Non è dato conoscere il nome dell’allenatore… Ha sperato poi di passare al professionismo ma non ha trovato porte aperte forse anche per la nomea di “indipendente”, definiamola così, che l’ha sempre accompagnato, nonostante varie promesse non concretizzate.

Venuta meno la prospettiva del professionismo, smessa l’attività pedalata salvo qualche manifestazione amatoriale, ritrova la San Siro, nella circostanza intesa in senso proprio quale rilevante impresa di vertice nel settore onoranze funebri, dove ha sempre lavorato fino al pensionamento. E continua ad abitare a Settimo Milanese e sovente ripensa al passato a quello che avrebbe potuto essere - e purtroppo non è stato – un differente percorso della carriera. Ricorda il suo breve ma intenso passaggio nel mondo delle due ruote, sempre con un certo orgoglio, convivendo con piacevoli ricordi di corse, corridori e amici, soprattutto quelli maggiormente positivi.

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