Il dopo Sanremo è musica per le nostre orecchie. Perché non si fa altro che parlare di Nibali. Dell’impresa di Vincenzo. Del volo di questo eccezionale corridore, capace di rendere semplice anche quello che semplice non è.
Era dai tempi di Marco Pantani che non si sentiva la gente parlare nei bar e per le strade di un ciclista che, con il trionfo di Sanremo, è tornato a toccare il cuore degli italiani, e non solo di chi ama e segue abitualmente il ciclismo.
C’è voluto del tempo a Vincenzo. Molto tempo, tanti chilometri e molte vittorie. C’è voluta pazienza, quella che non è mai mancata al fuoriclasse siciliano, il normal one del ciclismo mondiale, l’uomo che ama essere persona più che personaggio.
La Sanremo è la corsa di tutti: la più democratica, la più accessibile, anche se solo all’apparenza. Perché basta vedere che fine hanno fatto i velocisti puri: da Kittel a Viviani, dopo 294 km di corsa, sette ore di logorio assoluto, prima di un quarto d’ora da elettrochoc.
Percorso semplice, banale e prevedibile? Se hai a che fare con degli impiegati del pedale sì, se hai a disposizione corridori come Nibali, l’uomo dei Grandi Giri, è tutto un altro discorso. Lo Squalo ha dimostrato quello che si può fare: basta volerlo. Basta avere le gambe, il cuore e la lucidità per farlo. Il problema non è il percorso: il problema sono gli interpreti che sono chiamati sulla scena.
In via Roma mancava solo un tappeto rosso, ma c’erano i petali e il calore di una città che ha atteso di applaudire e acclamare a gran voce il corridore più creativo del mondo. Lo spirito libero della bicicletta. L’uomo che corre con il gusto dell’avventura, di chi non ha paura di fare una pedalata di troppo. Un uomo che non ha paura di perdere e proprio per questo molto spesso gli capita di vincere.
DAI TEMPI DI FURLAN
Hanno provato ad inseguirlo, ma non ce l’hanno fatta. Nibali ha vinto la corsa più lunga e apparentemente semplice, nel mondo più difficile. Aveva un solo modo per farlo: arrivare solo.
Ha vinto Vincenzo. E non è cosa banale, anche perché lui è l’unico campione da corse a tappe che si presenta al via con ambizioni di successo, ma la Sanremo non è propriamente un corsa disegnata per lui.
Era da 24 anni, Giorgio Furlan 1994, che uno scatto sul Poggio - su questa collinetta tra terra, mare e cielo - non lanciava il vincitore. Dal Santuario della Guardia, 7.200 metri da fare tutti in un fiato, che lascia senza respiro anche chi è lì solo ad assistere, da semplice suiveur. Su un falsopiano leggero, che poi si fa sempre più cattivo, tra le serre di fiori e gli ulivi, Nibali ha lanciato il suo guanto di sfida, prima del volo verso l’olimpo.
Gli prepara il terreno un fantastico ragazzino sloveno, Matej Mohoric, 23 anni, due volte campione del mondo da juniores e under 23, e quando Vincenzo scatta, si capisce subito che non è un’azione dimostrativa, di chi ha voglia dire alla fine: «almeno io ci ho provato».
Nel 2012 Nibali era stato terzo, battuto in volata da Gerrans e Cancellara. Alla sua decima Sanremo, con il numero magico con cui conquistò il primo Giro d’Italia e il primo Lombardia (31), Vincenzo manda in delirio l’Italia del pedale. Parte molto probabilmente con la benedizione del campione del mondo Peter Sagan, che non si sente super, ma soprattutto non sopporta la marcatura asfissiante di Kwiatkowski e dei suoi Sky. Sono amici Enzo e Peter, e non è un caso che alla fine il tre volte campione del mondo dica: «Ha vinto chi ha avuto le palle. Sono felice che abbia vinto un amico». Più chiaro di così.
UN BOATO
Era da Gianni Bugno 1990, Laurent Fignon 1989 o Laurent Jalabert 1995, che un vincitore di Giro, Tour e Vuelta non conquistava la Classicissima. Nibali è l’uomo che rende facile l’impossibile. Mi resterà per sempre nel cuore, negli occhi, ma soprattutto nelle orecchie il boato della gente che corre in strada o si affaccia alle finestre per applaudire il suo passaggio. Quando entra in via Roma, anche la strada trema, ha un sussulto, sente il tumulto: si avverte qualcosa di magico.
È una giornata dura, quella che conduce i corridori da Milano a Sanremo. Si parte con la pioggia, e una temperatura che è sui 5 gradi. E come previsto, piove. Dopo soli 4 chilometri il primo attacco, di Matteo Bono alla quarta fuga consecutiva alla Sanremo, Maestri, Rota, Mosca, Sagiv, Van Winden, Kobernyak, Hatsuyana e Planet, che da Binasco restano all’aria per 259 km. E quando ormai sembra tutto già scritto, perché la pioggia e il vento contrario hanno tolto energie un po’ a tutti, e le oltre 7 ore di corsa hanno intorpidito le menti e le ambizioni di chi ha il compito di inventarsi qualcosa, ecco che arriva Nibali. Un uomo che nel suo palmares vanta già due Giri, un Tour, una Vuelta, oltre a due Giri di Lombardia e adesso la Milano-Sanremo numero 109.
SE HAI IL CAMPIONE
«Se hai il campione, se c’è il fuoriclasse, puoi davvero sperare in qualsiasi cosa - ci spiega, soddisfatto come pochi, il ct azzurro Davide Cassani -. Vincenzo è stato davvero fenomenale. Ci ha regalato un gesto atletico di altissima fattura. Un assoluto colpo di genio».
L’uomo dei Grandi Giri che sa vincere non solo un mese all’anno - alla Armstrong, per intenderci -, ma nell’arco di tutta la stagione, ogni corsa. Campione antico? No, campione assoluto. Al pari di Alejandro Valverde, 38 anni il prossimo aprile, per citare un corridore ancora in attività, che in carriera ha vinto una Vuelta, collezionato podi a Tour e Giro, e vinto un’infinità di classiche.
«Vincenzo è davvero un campione totale - prosegue Cassani -. Fa parte davvero di quella ristretta schiera di fuoriclasse, che amano correre, vincere e onorare in ogni caso qualsiasi corsa. Non lo dico perché Vincenzo è il punto di riferimento del nostro movimento, l’uomo che può far bene anche alla Liegi, e sicuramente si difenderà anche nel suo primo Fiandre. Io spero di avere lui e non solo lui, in grande condizione per i prossimi Mondiali di Innsbruck. Vincenzo ha tutto per regalarci altri sogni».
MA COSA HO FATTO?
«Ma che cosa ho fatto? Non ci credo!». Vincenzo Nibali è incredulo. Sia sul traguardo di via Roma, che qualche giorno dopo, a bocce ferme, dopo aver visto e rivisto quel finale al cardiopalmo in tivù. È stata una giornata da incorniciare, una delle più belle della mia carriera. Una vittoria che mi ha sorpreso, anche se nella testa, non te lo nego, qualcosa mi frullava, perché mi sentivo bene e vedevo attorno a me facce stanche. Forse la corsa molto dura, per via della pioggia e del vento contrario, mi ha facilitato le cose. Più di sette ore di sella non sono uno scherzo, ma chi mi conosce sa che, se sto bene, più le corse sono lunghe e più io riesco a fare la differenza».
Nonostante ora sia passato qualche giorno, Vincenzo non sa dove collocare questa vittoria.
«Una cosa è certa, questa è stata una delle mie vittorie più difficili di sempre, perché la Sanremo non è adatta alle mie caratteristiche. Ci voleva la giornata perfetta. Sapevo di avere pochissime possibilità di vincere. Sul Poggio ho disegnato un capolavoro. Sono felice di aver messo il mio nome nell’albo d’oro di una corsa così importante. Sono orgoglioso dei tanti attestati che mi sono giunti, da Merckx a Gimondi».
Poi Enzo passa al racconto, di una giornata perfetta, nella quale non sapeva però come sarebbe andata a finire.
«Sono partito da Milano con un ruolo di stopper: l’idea della squadra era quella di correre tutti per Colbrelli. Io avevo due opzioni per il finale. Una sulla Cipressa, l’altra sul Poggio. Quando s’è mosso il campione lettone (Neilands, ndr) l’ho seguito, ma non ero neanche tanto convinto. Poi ho visto che il vantaggio c’era e ho collaborato. Quando la pendenza è tornata dura ho dato un altro colpetto e sono rimasto solo (Poggio scalato in 6’13”, ndr). In discesa sono andato giù forte, ma sempre senza chiedere il massimo. Il finale controvento è stato durissimo, ma dentro di me pensavo: se è dura per me, lo sarà anche per gli altri. All’ultimo chilometro ho capito che potevo farcela, che il mio fisico aveva ancora energie per tenere duro. Non mi sono mai girato, se non proprio sotto il traguardo, per godermi l’apoteosi. Una vittoria di cuore e testa. Ma anche di squadra, di team e di sponsor. Sì anche di sponsor, perché ovviamente il materiale tecnico ha il suo peso, in particolare in una giornata difficile ed esigente come quella, Sportful ci ha dato davvero una grande mano».
Forse, però, senza Slongo, questa vittoria non sarebbe arrivata…
«È vero, perché è stato lui a convincermi a correre. Era nei programmi, ma alla Tirreno, una sera, proprio prima della cronometro finale, sul lettino dei massaggi gli ho chiesto: “Paolo, ma è proprio necessario che io corra la Sanremo?”. Lui mi ha guardato e mi ha detto di sì. E poi voi lo sapete: quando io decido di correre, corro. Non mi piace andare in giro tanto per farlo. In più, la Sanremo è la Sanremo. Da bimbo non me ne sono mai persa una in tv. Però, siamo sinceri, è quella a cui aspiravo meno, proprio perché non è perfettamente nelle mie corde. Per un corridore come il sottoscritto è troppo facile, ed è necessario inventarsi qualcosa di eccezionale. E penso proprio d’aver fatto qualcosa di bello: per me e per tutto il movimento.
Ora però sai che c’è chi ti chiede il Mondiale, anche perché l’alloro olimpico l’hai solo annusato, prima di cadere sul più bello: che brutto.
«Prima c’è la Liegi, poi il Tour che voglio correre da protagonista, il Mondiale è ancora lontano, ma è chiaro che spero di arrivarci al meglio. Però date retta a me, con calma, non c’è fretta».
Non c’è fretta, per un campione totale e universale come Vincenzo, che cerca di farsi largo con i gomiti aperti, in un ciclismo superspecialistico fatto solo di watt e misuratori di potenza. Vincenzo non può essere limitato, confinato e chiuso in formule e grafici. Nibali non potrà mai essere ridotto a un’equazione; non è matematica, ma letteratura e prosa. È poesia.
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