RECORD. Non vinciamo più nulla. Non ce la facciamo proprio a portare a casa niente, né le gare Monumento e nemmeno quelle di serie inferiore. È un momento così e visto come è stato il nostro inizio di stagione temiamo che anche per il prosieguo la tendenza possa essere questa. Alla recente Coppi & Bartali abbiamo rimediato solo sonore batoste. Nessuna vittoria di tappa, un filotto inverso e contrario alla storia che per il suo aspetto negativo profuma di record: non era mai accaduto. È vero, oggi è sempre più difficile e complesso primeggiare. Il ciclismo, a tutti gli effetti, oggi è un vero sport globale: si corre in ogni angolo del mondo e la geografia dei praticanti si è quadruplicata. Se fino agli anni Novanta era uno sport praticato da quelle quattro/cinque nazioni di riferimento, un po’ come accade ancora oggi con la scherma, oggi il nostro movimento può contare su una partecipazione planetaria molto vicina all’atletica leggera. Il livello si è innalzato, noi ci siamo incredibilmente ridimensionati. È in atto un importante cambio generazionale, bisogna portare pazienza e non drammatizzare, ma a quanti pensano e dicono che vincere alla Coppi & Bartali conta poco più di nulla, ribatto dicendo che da sempre, per arrivare a vincere le classiche Monumento, si deve passare anche dalle corse meno blasonate. Se non si vince la Sanremo da 11 anni può essere anche per mera sfortuna. Se non si vince più neanche alla Coppi & Bartali, significa che l’unica speranza che abbiamo di tornare a vincere una Sanremo è per un colpo di fortuna. Ma anche in quel caso, la situazione resterebbe semplicemente drammatica.
ALTRO ADIGE. Tra pochi giorni incomincia la festa. Parte il Giro d’Italia delle Cento edizioni, non una corsa qualunque, ma «la» corsa. Per noi italiani la più importante di tutte, forse seconda solo al Tour de France, che tormenta non poco il sonno del presidente Urbano Cairo, il quale quando ha saputo quello che la Grande Boucle fattura e produce rispetto alla corsa rosa, per poco non ha avuto un mancamento. «Voglio ridurre assolutamente il gap con la corsa francese…», ha detto a chiare lettere e ai quattro venti il numero uno di Rcs Media Group. L’ha detto e continua a ripeterlo come un mantra.
Dovrebbe, però, tanto per cominciare far sapere con i suoi mezzi d’informazione che in Italia il ciclismo c’è ancora e lotta assieme a noi. Magari il suo giornale rosa dovrebbe anche parlarne un pochino di più, di ciclismo e di Giro. Quello bianco dovrebbe invece molto più semplicemente parlarne. Forse il presidente ultimamente è più impegnato a spulciare note spese e a studiare i bilanci del suo colosso editoriale e non legge ciò che i suoi giornali pubblicano, perché si sarebbe accorto che del Dubai Tour - corsa organizzata dal suo Gruppo - il giornale bianco nemmeno ne ha parlato.
Dovrebbe anche accertarsi che i suoi collaboratori si preoccupino di lavorare con i vari Enti di promozione turistica nel modo più adeguato possibile. Magari informando anche le Apt territoriali del passaggio della “corsa rosa”. Fare in modo e assicurarsi che mettano in moto quelle azioni e quelle iniziative di promozione e accoglienza che sono necessarie per il successo di una manifestazione di questa caratura e storia.
È da anni che mi occupo della logistica del «nostro Giro», della sistemazione alberghiera per me e per i miei due compagni di viaggio Angelo Costa e Cristiano Gatti. E tutti gli anni, cascasse il mondo, nella mia ricerca in zona Dolomiti mi trovo regolarmente a dover mendicare camere. Anche quest’anno, dalle parti di Corvara e dintorni, non solo ho faticato a trovare dei letti, ma sono diventato letteralmente pazzo per trovare qualche struttura aperta. «Mi spiace, chiudiamo il 4 aprile e riapriamo il 15 giugno», il leitmotiv della quasi totalità degli albergatori contattati. E a nulla è servito ribattere loro che in quei giorni di fine maggio sarebbe passata la “corsa rosa”. «Ah, passa il Giro?... ma noi in quel periodo siamo chiusi per ferie…». Grandissimi, spendono capitali per la promozione del territorio e gli alberghi restano serrati.
L’anno scorso a Corvara stessa storia: “tous fermés”. Difficile rimediare persino una pizza a fine giornata. Insomma, questo è un problema molto dolomitico, molto da Alto Adige, che potremmo ribattezzare Altro Adige. Perché loro sono altra cosa, altro mondo, altra storia e altro tutto: nel bene - molto bene, perché i posti lassù sono davvero incantevoli - e anche nel male. Forse non è nemmeno colpa loro, anche se io attendo ancora che l’Apt di Corvara mi telefoni dall’anno scorso. Hanno bisogno di interlocutori che si adoperino non solo a far transitare il Giro, ma anche ad accoglierlo nella maniera più adeguata. Vogliamo ridurre il gap con il Tour, ma per la Grande Boucle la Francia intera si mette in moto, lavora da nazione per una corsa che è fiore all’occhiello e immagine di un intero Paese nel mondo, il nostro povero Giro sembra che sia patrimonio solo del ciclismo, dei ciclisti e degli amici di Rcs Sport. Il Giro non può fare a meno delle Dolomiti, di quei monumenti naturali che hanno fatto la storia del nostro sport. Non può fare a meno di quei paesaggi da sogno ma c’è bisogno di complicità, amore e partecipazione. In una parola: accoglienza.
Quindi, caro Cairo, le auguro di ridurre il gap con i francesi sempre di più e in breve tempo, ma prima, molto prima, c’è bisogno di conquistare gli italiani, tutti, nessuno escluso. Anche quelli dell’Alto Adige, che al passaggio del Giro sotto casa, pensano ad altro.
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