FACCIA IL PAPA’. Non vorremmo apparire blasfemi accostando il gesto compiuto dal Santo Padre Benedetto XVI al non gesto di Pat Mc Quaid, ma se il Papa ha sentito la necessità di fare un passo indietro per il bene della Chiesa, è mai possibile che ad Aigle non sentano nemmeno l’esigenza di mettersi in discussione? Di recitare un mea culpa, di fronte agli innumerevoli scandali? Le dimissioni del Papa sono normate dal canone 332.2 del Codice di diritto canonico, quelle di Pat Mc Quaid non si sa. Anzi, è quasi certo che a settembre si ripresenterà ineffabile per ricevere un nuovo mandato e nessuno glielo negherà. Il bello è che gli autorevoli mezzi di comunicazione se ne guardano bene dal chiedere un gesto di purificazione, eppure di motivi ce ne sarebbero. La vicenda Armstrong, fermato dagli investigatori della Interpol e non certamente dalla giustizia sportiva, men che meno dall’Uci, è l’acme della corruttela morale. E poi il pasticcio dell’Operacion Puerto, lasciato colpevolmente decantare per sei anni senza che il massimo organismo del ciclismo mondiale sentisse l’esigenza di operare un pressing politico sulla Spagna, affinché si facesse chiarezza e giustizia, per tutti e in tutti gli sport. Le confessioni imbarazzanti e dolorose degli ex corridori della Rabobank, che ad uno ad uno hanno ammesso di essersi dopati sistematicamente per decenni, fino ad un paio di anni fa, con la certezza provata dell’inconsistenza dei sistemi antidoping dell’Uci e del suo tanto decantato passaporto biologico. E poi la vicenda Katusha, privata della licenza di World Tour e riammessa dal Tas. Regolamenti imbarazzanti, poco chiari, poco trasparenti, e una gestione corporativa degna di una lobby e non di una grande federazione sportiva mondiale. Per non parlare dell’ultimo schiaffo, rifilato dall’AFLD (Agenzia Francese di Lotta al Doping), che ha deciso di non occuparsi dei controlli antidoping della Parigi-Nizza e di voler interrompere il rapporto con l’UCI «alla luce dei gravi fatti che le sono attribuiti e sui quali finora non è stata fatta luce».
Una situazione grave, molto più grave di quanto è stato compiuto in questi anni dagli atleti con la complicità delle squadre e dei loro team-manager. Dirigenti incapaci di guardare, prevedere e provvedere, obnubilati dalla sola smania del guadagno: molto meglio allestire corse, che gestire la politica di una federazione. Il ciclismo deve cambiare e lo deve fare nel suo profondo, ma il cambiamento non può avvenire con le stesse persone che hanno affossato questo sport. Il Papa ha fatto un passo indietro per il rinnovamento della Chiesa, Mc Quaid faccia almeno il papà: chieda scusa e speri nella comprensione di tutti.
CHIEDO STRADA. Strade bloccate, piene di buche, automobilisti costretti a zigzagare per non rimetterci sospensioni e cerchioni, corse ciclistiche annullate per impraticabilità delle strade. Niente gran fondo, per il fondo stradale che non c’è più. Il ciclismo fa acqua, e le falle sono visibili sulle arterie stradali della provincia di Bergamo, ma non solo lì. Siamo in stato d’allarme. Se le cose non vanno in una delle Province più ricche d’Italia, figuriamoci altrove. I sindaci, la Provincia, non ne vogliono più sapere di denunce e cause per danni recati ai cittadini. Quindi, fin quando la situazione non sarà migliore, addio corse.
Per il momento addio alla Gran Fondo Felice Gimondi, che nei suoi primi 17 anni ha portato in sella 70 mila ciclisti. L’edizione 2013 non ci sarà. I motivi, ha spiegato Beppe Manenti, presidente della società organizzatrice, sono legati all’impraticabilità delle strade e ai conseguenti dinieghi da parte della Provincia che, già nel 2012, aveva reso difficile la vita agli organizzatori, costringendoli - a cinque giorni dalla manifestazione - a modificare il percorso medio (sostituendo il Colle Gallo con la salita di Bianzano) e a cancellare quello lungo. Una questione che non ha riguardato solo la Felice Gimondi, ma un’altra quindicina di gare, tra cui la tappa del Giro d’Italia con arrivo a Pian dei Resinelli: in alcuni casi, come per la corsa rosa e la Gimondi, si sono trovate delle soluzione alternative, in altri le corse sono state semplicemente cancellate e amen.
Ma quello che oggi sembra essere solo un problema della Bergamasca, potrebbe diventare fatalmente dell’Italia intera: buche che fanno sobbalzare pullman e camion, moto costrette a fare slalom per non perdere il controllo, crepe profonde scavate dall’acqua e dal gelo. In attesa che l’Anas faccia partire i lavori attesi da anni e annunciati per la primavera, la Provincia decide d’intervenire in anticipo e bloccare tutto: da metà febbraio si viaggia ad una sola corsia su entrambi i sensi di marcia. L’ha deciso Renato Stilliti, dirigente del settore viabilità della Provincia, aspettando che l’Anas avvii gli interventi. E se ieri la situazione sembrava difficile, quest’anno potrebbe essere ancora peggio. La politica deve fare la sua parte, così come Renato Di Rocco: questa è una vera e propria emergenza. Il ciclismo chiede strada, e le strade.
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