Editoriale
INEBETITI. Sorridono. Hanno una smorfia che è una via di mezzo tra un sorriso e una emiparesi. Pensano che Ettore Torri stia scherzando, ma la prova che sta facendo maledettamente sul serio è arrivata il 21 gennaio scorso, quando il Giudice di Ultima Istanza del Coni in materia di doping, presieduto da Francesco Plotino, ha inflitto al ciclista Gianluca Coletta (tesserato per la Federazione Ciclistica Sammarinese), l’inibizione di due anni a rivestire cariche o incarichi in seno al Coni, e a frequentare in Italia gli impianti sportivi. Questo è quello che potrebbe accadere ad Alejandro Valverde e compagnia pedalante, qualora decidessero di non rispondere alla convocazione del capo della Procura Antidoping del Coni. In Spagna insabbiano; in Italia sono pronti ad inibire. Loro per il momento sorridono, inebetiti.

VITA DA CANI. Potrebbe essere un microchip impiantato sotto la pelle degli atleti l’arma vincente contro il doping. Lo propone l’epthatleta Carolina Kluft. Secondo la campionessa svedese, che non perde una gara dal 2002, il sistema potrebbe risolvere il problema di reperire sempre gli atleti per i test antidoping a sorpresa. Con la Kluft si è schierato il connazionale Stephan Holm, saltatore in alto olimpionico nel 2004: «Onestamente, perché no? Potrebbe essere la soluzione per evitare inutili sospetti».
Nomi dei propri cani come codici segreti. Controlli a sorpresa e reperibilità ventiquattr’ore su ventiquattro; esami delle urine, sangue saliva capello e del DNA. Ora anche il microchip. È proprio il caso di dire: vita da cani. Anche se tra un po’ anche i fedeli amici dell’uomo, spazientiti, non ne vorranno più sapere di questi animali a due zampe che vanno in equilibrio precario sulla loro bicicletta. Così, per tutelare la propria immagine vorranno prendere da questi bipedi zucconi le debite distanze, celando la propria identità con un nome fittizio di un corridore ciclista. Per esempio Indurain: che poi altro non è che un bassotto dal pelo ruvido che nella realtà risponde al nome di Fuffy.

NON FATELI TORNARE. La notizia è del 15 gennaio scorso ed è passata sotto silenzio: «avvertiva i corridori, sospeso dirigente laziale». Esattamente così, un dirigente della Federazione Ciclistica Italiana, Gianfranco Marra, romano di 65 anni, è stato sospeso per due mesi dall’incarico dopo che la procura di Trento gli ha contestato la rivelazione di segreti d’ufficio per aver comunicato a un ciclista l’imminenza di un controllo antidoping.
Marra, responsabile per il Centro Italia del comparto struttura amatoriale della Fci, avrebbe avvertito alcuni ciclisti alla vigilia della Gran Fondo dei Monti Ausoni, svoltasi il 7 ottobre 2007 a Monte San Biagio (Latina).
Di qui l’interdizione per due mesi chiesta dal pm di Trento Salvatore Ferraro e concessa dal gip. Due mesi? Solo due mesi per un dirigente se non complice perlomeno superficiale e sprovveduto? Spero che la Federazione Ciclistica Italiana corra quanto prima ai ripari e prenda seriamente in considerazione questa vicenda una volta conclusa l’inchiesta da parte della magistratura ordinaria. Un atleta che non si presenta ad un controllo rischia due anni; un dirigente che gioca a nascondino al solo scopo di liberare tutti, due mesi.
C’è qualcosa che non torna e certi dirigenti è bene che non tornino più.
Pier Augusto Stagi
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