Editoriale
Come Tafazzi, il ciclismo continua a tirarsi le ben note bottigliate sugli zebedei. Riusciamo a farci del male fino in fondo. Riusciamo a non festeggiare nemmeno un Paolo Bettini fenomenale, il quale, dopo averci regalato un guizzo mondiale a Salisburgo, ci confeziona e soprattutto regala alla memoria di Sauro - il fratello morto in un incidente stradale otto giorni dopo il trionfo iridato -, una cavalcata mondiale sul traguardo dei Cento Lombardia. Il ciclismo ha la possibilità di chiudere tra gli applausi, invece finisce tra i fischi degli sportivi di Como, inviperiti e sconcertati, per le mancate premiazioni di rito nella grande classica di chiusura che festeggia le cento edizioni.
Come un Tafazzi qualsiasi, anch’io torno sull’argomento, e tra una bottigliata e l’altra in zona inguinale, mi armo di buona pazienza con l’intento di spiegare quanto è successo quel giorno ma soprattutto quello che succederà o potrebbe succedere.

Andiamo per ordine. Che il ProTour sia nato sotto un cattiva stella è ben noto a tutti. Varato con tutti i buoni propositi, l’Uci e Verbruggen sperano con questa riforma di portare regole innovative, immagine al passo con i tempi e soprattutto soldi per tutti. Fanno però i conti senza l’oste, e in questo caso l’oste non è uno bensì tre: Giro, Tour e Vuelta, i quali sentendo subito odore di bruciato, prendono immediatamente le loro belle contromisure: «Le corse sono nostre e i diritti televisivi li vendiamo noi: guai a chi ce li tocca», dicono all’unisono.
In effetti, sulla carta, Verbruggen spera di poter vendere tutto il pacchetto ProTour alle televisioni di mezzo mondo se non del mondo intero. Volano brutte parole tra le parti e volano anche tre anni di ciclismo, costellati da litigi e lettere minacciose. Si arriva in pratica alla frattura più totale e irreversibile, ma all’inizio di quest’anno entrano in gioco direttamente le aziende che sponsorizzano i venti team ciclistici di ProTour. Si muovono in prima persona i dirigenti di Liquigas, Rabobank, Cofidis e via elencando. Incontri serrati, riunioni fiume, grande lavoro diplomatico: si arriva a fine marzo con la stesura di un cartello unitario che presenta alcune importanti modifiche del ProTour, e che soddisfa in pratica tutti: Grandi Giri, organizzatori con e senza licenza, team, corridori e sponsor. Questo progetto viene consegnato all’Uci affinché questi suggerimenti vengano trasformati in regolamento, ma tali sono e tali restano: l’Uci dice di non voler assolutamente cambiare niente, nemmeno una virgola.

A fine luglio la nuova frattura e si torna punto a capo. I tre Grandi Giri decidono di uscire dal ProTour a partire dal 2007 e chiedono all’Uci l’iscrizione delle loro manifestazioni nel calendario mondiale, fuori quindi dal circuito ProTour, che in pratica torna a vacillare. Tutto si può fare, ma che ProTour è senza Giro, Tour, Vuelta e tutte le corse in linea che gli organizzatori di Giro e Tour organizzano (Sanremo, Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi, Freccia Vallone, Lombardia e via elencando)? Il ProTour nasce per dare e chiedere garanzie; le squadre devono dimostrare numeri alla mano di avere spalle coperte, con sponsor di nome e stati patrimoniali in ordine; il ProTour a sua volta concede licenze pluriennali, che permettono ai team di programmare meglio le loro stagioni. In pratica chi ha la licenza sa di poter correre sicuramente tutti i più importanti avvenimenti: se i tre Grandi Giri escono dal circuito questo principio viene automaticamente a mancare, e allora che si fa?

AArriviamo alla vigilia del Lombardia. La Rcs, ente che organizza il Giro e tutte le corse Gazzetta, comunica per iscritto che non ha intenzione di abbinare i propri marchi, i propri sponsor con quello dell’Uci ProTour e di non voler quindi ospitare Valverde, vincitore della speciale classifica. Le squadre, ancora una volta lasciate sole, decidono di non mandare sul palco delle premiazioni nessun corridore: quindi, niente premiazioni. Gli sportivi perdono la cerimonia protocollare, il ciclismo perde per l’ennesima volta la faccia, ricoprendosi ancora una volta di ridicolo. L’Uci protesta e per difendere la maglia del ProTour finisce per mortificare quella di campione del mondo. Una bruttissima storia, dove tutti dicono di aver ragione, dove tutti pensano di aver vinto, ma di fatto finiscono tutti per portarsi a casa una bella e sonora sconfitta, che potrebbe aprire altri scenari, ben più preoccupanti.

QQuali? Prima ipotesi: i tre Grandi Giri restano fuori dal circuito ProTour e di fatto alle loro corse possono invitare chi vogliono. Vogliono la Discovery? Fanno un accordo con Bruyneel e si portano alle loro corse la Discovery. Vogliono la Liquigas, la Milram e la Lampre? Fanno un accordo con Amadio, Stanga e Saronni e alle loro corse avranno i corridori di Liquigas, Milram e Lampre. Ma credete davvero che le squadre accettino una cosa simile così a cuor leggero?
Seconda ipotesi: le squadre di ProTour fanno quadrato e decidono di boicottare tutte le corse organizzate da Aso (Tour), Rcs (Giro) e Unipublic (Vuelta). Vi immaginate un Giro, un Tour o una Vuelta con sole squadre Professional, prive di nomi di richiamo? E gli sponsor sono disposti a loro volta a fare un passo indietro facendo a meno di queste grandi manifestazioni? Anzi, non giriamoci tanto intorno: sarebbero disposti a disertare il Tour de France, la corsa per la quale tutti farebbero carte false pur di prendere il via?

Siamo alla confusione più totale. Stiamo scherzando con il fuoco. Ha ragione il dottor Paolo Dal Lago, il signor Liquigas, quando dice che in queste situazioni non si può avere un vincitore o un vinto, ma tutti devono rinunciare a qualcosa pur di arrivare ad una intesa. È necessario un accordo insoddisfacente per tutti, ma da tutti accettato. Bastava dare garanzie agli organizzatori di Giro, Tour e Vuelta sulla titolarità delle loro corse: nessuno vi toglierà mai ciò che è vostro, tantomeno i diritti tivù. Bastava togliere due/quattro squadre dal ProTour: contenti gli organizzatori che avrebbero avuto a disposizione dalle quattro alle sei wild-card e sarebbero state contente le squadre di seconda fascia che avrebbero visto meno tetro il loro futuro. Bastava creare un paniere, di otto/dieci squadre, dal quale pescare ogni anno le squadre alle quali concedere le “wild-card”. Bastava che i tre Grandi Giri riconoscessero i giusti compensi ai team e ai loro corridori, i quali, fino a prova contraria, portano e fanno spettacolo. Ma guarda la combinazione: bastava che l’Uci applicasse e riconoscesse ciò che era stato già messo nero su bianco a fine marzo da tutte le parti interessate. Non ci troveremmo ancora qui, a darci delle bottigliate sugli zebedei come dei Tafazzi, convinti che tutto questo non solo sia necessario ma anche piacevolissimo.
Pier Augusto Stagi
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