Editoriale

di Pier Augusto Stagi

BUONA VISIONE. Non siamo mai contenti, soprattutto quando dovremmo esserlo, soprattutto nei confronti di Rcs Sport, del suo amministratore delegato nonché direttore generale Paolo Bellino, che ha voluto fortemente la diretta integrale della Milano-Sanremo, anche per una questione sociale e di sicurezza. In un momento di lockdown e zone rosse, Paolo Bellino, grazie anche alla disponibilità del direttore di Rai Sport Auro Bulbarelli, ha pensato bene di fare in modo che gli appassionati non fossero nemmeno sfiorati dall’idea scellerata di scendere in strada - visto il momento - per assistere al passaggio dei corridori. Per evitare la tentazione è stato deciso di fare per la prima volta nella storia della corsa di primavera una no-stop, che è stata premiata anche dagli ascolti, più che lusinghieri: sette ore, dalle 9.15 alle 17.15, di diretta tivù. I dati dicono che l’ultima ora di corsa ha avuto uno share medio dell’11,58% con 1,841 milioni di telespettatori medi (mai così bene negli ultimi cinque anni), e il picco è volato a 2,114 milioni di telespettatori con uno share salito al 13,42% nell’ultima mezzora. Un’azione voluta da Rcs Sport, che per l’occasione ha anche contribuito con un investimento di 50 mila euro, per pagare parte della produzione (la corsa è stata coperta da un aereo, tre elicotteri e sei moto-ripresa). C’è chi, come al solito, si è lamentato. Ma come si fa a fare sette ore di diretta? Ha tuonato sui social. Si fa e se vuoi te la guardi, se non vuoi ti colleghi per l’ultimo quarto d’ora. Rcs Sport ha fatto non bene, ma benissimo, per mille e più ragioni. Dimenticavo, Auro Bulbarelli starebbe pensando di ripetere l’operazione Sanremo anche per il Lombardia, così da chiudere il cerchio: tutte le classiche Monumento in diretta integrale, come avviene da anni per Fiandre, Roubaix e Liegi. Forse chi si è lamentato per la Sanremo, nemmeno se n’era accorto: da anni, le tre Monumento erano già prodotte integralmente da broadcaster stranieri. Quindi, visto e considerata la distrazione, volentieri mi ripeto: se proprio vi dà fastidio, usate il telecomando quando vi pare. Dimenticavo ancora: il telecomando, generalmente, ce l’avete appoggiato sul tavolino a fianco della vostra poltrona. Buona visione.

W TUTTI. Non abbiamo motivo di stare allegri, si fa fatica. È sotto gli occhi di tutti e lo si vede a occhio nudo. Il cambio generazionale è in atto, ma vede protagonisti indiscussi gli altri, che fanno fuoco e fiamme, mentre per il momento noi ci scottiamo. Abbiamo assistito alla Strade Bianche più bella di sempre e a una Tirreno-Adriatico che ci ha deliziato gli occhi riempiendoci il cuore, anche se poi noi abbiamo portato a casa solo un più che onorevole quinto posto con Matteo Fabbro che ci fa ben sperare per il futuro, anche se dobbiamo - sia noi che lui - sforzarci di restare con i piedi ben saldi per terra, perché non si sa mai. E poi c’è sempre lui, il sempiterno Vincenzo Nibali, che tra i bimbi ha chiuso in nona posizione, a conferma che la classe non è acqua.
Insomma, si fa fatica. I nostri ragazzi sono lì, ma si trovano a dover lottare con una generazione a dir poco esuberante, sfrontata e fatta di fenomeni come Taddeo Pogacar, Egan Bernal, Joao Almeida, Marc Hirschi, Remco Evenepoel che è prossimo a tornare alle corse con bellicosi propositi e a questi vanno aggiunti corridori non giovanissimi ma esperti del calibro di Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Julian Alaphilippe, Primoz Roglic e via elencando.
È un bel ciclismo, questo dobbiamo dirlo, ma dobbiamo anche fare i conti con questa mutazione, con questo cambiamento dovuto tanto al fato, ma forse anche a una programmazione diversa, più ludica e multidisciplinare, e meno maniacale: come la nostra. Noi costruiamo frotte di piccoli professionisti in erba e quando sono professionisti per davvero ci troviamo a che fare con ragazzi spremuti e viziati che nel frattempo si sono convinti d’essere quello che negli anni di formazione si sono sentiti dire. L’incoraggiamento più usato è: fenomeno. Questo è un fenomeno. Sono anni che sono in questo ambiente e di fenomeni sulla carta ho riempito diari. Tanto per essere chiari: il già citato Nibali era considerato un ragazzo interessante, non un fenomeno. Quello per moltissimi era Kreuziger.
Poi però un giorno ci si sveglia e c’è qualcuno che va più forte di te, come recentemente lo Squalo ha detto facendo riferimento a una massima di Bud Spencer, all’anagrafe Carlo Pedersoli, perché c’è una nuova generazione che avanza, e non è certamente un caso che fino al momento in cui scrivo, non abbia ancora vinto nessun ultra-trentacinquenne.
Però stiamo sereni: l’importante è correre. L’importante è assistere a corse di assoluto livello animate da ragazzi che sanno come divertirci. Lasciamo che i nostri crescano con calma, che prendano qualche ceffone e si sveglino, noi nel frattempo godiamoci lo spettacolo di questa generazione di fenomeni, forse serve anche a noi appassionati un bagno di umiltà, dopo anni di opulenza. Impariamo anche a gioire per le vittorie altrui, non solo per le nostre. Nel tennis - tanto per citare uno sport, ma ce ne sono a bizzeffe dove siamo solo delle comparse - per decenni ci siamo accontentati di applaudire Federer e Nadal, Djokovic e Medvedev. Nel ciclismo dire Viva tutti e Viva il nostro sport fa parte della nostra cultura, per noi non è difficile applaudire chi è bravo e ci diverte: è la nostra cifra distintiva. È il nostro punto di forza, da sempre. Manca l’italiano? Calma e pazienza, un po’ di purgatorio nell’anno di Dante, ci farà solo bene. W tutti!   

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