Rapporti&Relazioni
Largo ai Martino

di Giampaolo Ormezzano

Naturalmente il ciclismo ha perso la grande occasione. Soltanto uno è riuscito a fare qualcosa, e si è trattato di un giornalista che ha seguito un bel po’ di corse e che si è rammentato degli amori antichi, anche se adesso è diventato tutto del calcio come addetto alle pierre ed all’immagine ed alle comunicazioni di un grande club calcistico (grande per numero di tifosi più che per vittorie e tradizione e possanza economica).
Se avete letto sin qui e non avete ancora capito di cosa e di chi stiamo parlando, vuol dire che non solo un’altra battaglia, ma forse tutta la guerra è perduta. La guerra contro il calcio, vogliamo dire, che è e deve essere la guerra santa di tutti gli sport ma deve soprattutto essere la guerra del ciclismo, al quale il calcio ha tolto spazi di popolarità, giorni festivi, specie le domeniche ormai vietate alle competizioni, sponsor generosi; e al quale non ha tolto la poesia soltanto perché con la poesia non si fanno i soldi. L’occasione perduta è la sentenza con la quale il tribunale di Torino ha condannato a ventidue mesi di reclusione, per pratica quinquennale di doping sui calciatori affidati alle sue cure, il medio della Juventus, dottor Riccardo Agricola. La stessa sentenza ha assolto dall’accusa di correità nel reato di frode sportiva l’amministratore delegato della Juventus dottor Antonio Giraudo, il quale secondo il tribunale poteva anche non sapere della cosa anzi della cosaccia, e non era tenuto a ispezionare i conti sino a rendersi conto che la spesa per i medicinali era spaventosamente alta.

C’è stata una generale sintonia in quasi tutta la stampa sportiva, che disperatamente preferiamo pensare disattenta anziché suddita, nel presentare così la sentenza: assolto il club, condannato il medico. Ma il medico non fa parte del club? E il doping comandato dal medico sociale agli atleti non implica la responsabilità del club? Dopo un giorno qualcuno ha cominciato a rendersi conto dell’assurdità, lo ha fatto anche per iscritto, lo ha fatto anche alla radio e alla televisione. Lo ha fatto anche, straniero, su giornali stranieri. Ma era tardi, ormai troppa gente pensava ad altro, tutta presa dal grande divenire del pallone.

Nella trasmissione televisiva di Aldo Biscardi però c’è stato finalmente il primo (e l’unico) temiamo, che ha saputo collegare il fattaccio del calcio alle cose del ciclismo, ed ha fatto notare come quando accade anche soltanto una cosuccia nel ciclismo tutti emettono condanne dure e generali, mentre quando accade nel calcio una brutta cosa tutti si mettono d’accordo, non importa se automaticamente o no, per coprirla. Erano passati quattro giorni, l’argomento è stato introdotto a serata avanzatissima, verso la fine della trasmissione, a gente spenta e video ormai verso lo spento, ma non si può avere tutto dalla vita.
Il giornalista in questione si chiama Giorgio Martino e si occupa della Roma, dopo una lunga carriera alla Rai anche al seguito delle corse ciclistiche. E adesso un tuttocalcio, ma ha buona memoria e sa coltivare le passioni con serenità: proprio per questo si è arrabbiato in diretta contro chi nonostante tutto ha creduto di avere dal caso Juventus l’input per una ennesimo spostamento del problema dal calcio al ciclismo, così da coltivare sempre bene gli interessi sporchi e no del suo mondo di cuoio.
Cosa avrebbe dovuto fare il ciclismo, anche e magari soprattutto inteso come federazione? Avvicinare i giornalisti amici e chieder loro di intervenire (io qui lo faccio autonomamente, approfittando di un giornale libero, e magari scoprirò che ho fatto un dispetto alla federazione): chiedendo ad altri Giorgio Martino, che esistono, puntualizzazioni, non solidarietà o complicità, Doveva cercare di andare in qualche trasmissione televisiva, con suoi esponenti capaci di dire certe cose: magari travestendoli da fans dell’isola dei famosi o altre orripilanze del genere. In televisione hanno fame di ospiti: si faceva finta di avere una cosa importante da dire su Loredana Lecciso e zacchete, si parlava di ciclismo. Oppure potevano mobilitarsi gli stessi corridori. Un Bettini, un Cunego, un Basso che si offrono ad un Costanzo Show, un Uno Mattina, dicendo che vogliono parlare di doping trovano un sì immediato: e poi possono anche dire qualcosa a proposito del doping nel calcio. Non per eludere le proprie responsabilità, no. Ma per restituire almeno un poco dopo tante imboscate patite. E per colpire finalmente, e pazienza se per via traverse, chi ha sempre usato il ciclismo come parafulmine, così che certe folgori non si scaricassero sul suo sport.
gggggggg

Michele Bartoli lascia, Mario Cipollini continua. Sono due notizie opposte, possono essere due notizie egualmente valide. Da una parte la serenità di un ragionamento, con rinuncia fra l’altro ad ancora un anno di ricco contratto. Dall’altra la voglia di dire ancora qualcosa, e pazienza se guadagnando pochino rispetto al passato. Naturalmente questa notazione non appartiene al ciclismo, che si perde tutte ma proprio tutte le occasioni di farsi bello, di apparire ancora un posto dove accadono certe belle cose.
Il ciclismo invece ha saputo giocare apparentemente bene con Damiano Cunego in Cina: ma bisognerebbe meditare se convenga al mondo della bicicletta tuffarsi nel modernismo, ed assecondarlo, e non sia invece meglio coltivare il tranquillo posto di campagna che esiste ancora.

Fra l’altro abbia letto, a proposito della sua cinesizzazione, cose bellissime sui grattacieli di Shangai e neanche una riga sui milioni e milioni di ciclisti che affollano e movimentano Pechino. La Cina è ancora il paese più pedalante al mondo. Omaggiarne questo aspetto, proprio adesso che il governo cinese rallenta il cosiddetto progresso, per paura che la bolla si gonfi troppo e scoppi, potrebbe far guardare al nostro ciclismo, da parte di un miliardo e mezzo di persone, con occhi diversi da quelli con cui guardano la nostra industria che vuole proporre loro certi suoi prodotti cari del più bieco becero consumismo e soprattutto vuole assoldarli tutti come schiavi da lavoro a costo bassissimo, facendoli pedalare ai torni, alle presse, alle catene di montaggio.
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