Una battaglia poco sportiva (ma necessaria...) di Gian Paolo Ormezzano
Distanti, per non dire opposti, quanto ad opulenza economica (non la stessa cosa, e spesso anzi l’antitesi della sicurezza finanziaria), a situazione di fronte al doping, a presa sui giovani, il ciclismo ed il calcio hanno pure uno strano altro punto di non contatto, che potrebbe risolversi, se bene sfruttato dall’entità povera (quella su due ruote), in vantaggio psicologico per essa.
Diciamo subito del punto di non contatto. Alla fine ormai del 2002 il ciclismo si trova con una sensazione di impotenza per quel che riguarda il suo rapporto massimo con la popolarità, cioè le affermazioni nelle imprescindibili prove a tappe, e non servono a colmare tutto il gap i successi nelle grandi classifiche individuali, quella del campionato del mondo professionistico su strada e quella della Coppa del Mondo individuale, sempre fra i professionisti. Confessiamo che si cambierebbero tutti i successi del 2002 con un podio al Tour de France, che ci permettesse di sognare l’anno prossimo in una vittoria (quella al Giro è stata ottenuta, dopo convulsioni da controlli antidoping, in assenza quasi totale di concorrenti stranieri), visto che i successi individuali non dicono certamente di una grande sostanza di base, ma soprattutto di una vis artistica di taluni, estranea alla forza del movimento: né si può scambiare la bellissima Nazionale di Zolder con il movimento nazionale della bicicletta. Alla fine dello stesso 2002 il calcio si trova con quattro squadre nostre che vanno avanti nella Champion’s League, con un campionato comunque interessante, e però con il fallimento del suo simbolo massimo, la Nazionale.
Economicamente il calcio registra fallimenti clamorosi, però gode pur sempre di un forte vitale soffio di interesse dei grandi sponsor, dei grandi potentati industriali e commerciali. Mentre il ciclismo ha la sanità dei poveri, che mangiano pane nero e che riescono a sopravvivere con poco, ma non ha nessun autenticamente grosso respiro economico che gli permetta comunque di contare sull’avvenire.
In sostanza il ciclismo nei confronti con il calcio si trova a essere vincente in cose che non contano molto, e ad essere perdente nelle faccende economiche, nonostante la sua maggiore pulizia delle cifre (o magari proprio per essa...). Si aggiunga il doping, che massacra il ciclismo permettendo a tutto il resto del nostro sport, farisaico e no, di sfogarsi addosso allo stesso ciclismo e velare le attenzioni verso altre discipline: la scoperta di una fialetta non facile da spiegare in un bidone della spazzatura fuori da un albergo di ciclisti penalizza il mondo della bici molto ma molto di più di quanto penalizzi il calcio la scoperta che, per l’ennesima volta, il centro di Roma ha commesso di nuovo peccati di omissione, alterazione, disattenzione, cancellazione, contraffazione.
Ecco, questo dovrebbe essere fatto conoscere. Come? Usando mezzi inconsueti, un po’ volgari ma sicuramente efficaci. Per esempio il Cipollini che da campione del mondo ormai compare una sera sì e l’altra magari in qualche trasmissione televisiva di vasta audience, approfitta di una diretta per dire queste cose, per far sapere che il ciclismo paga, quanto a gogna di doping, per tutti e specie per il calcio. Per esempio Pantani potrebbe andare a rispondere ad un quiz, gli scettici sarebbero attratti dall’importanza del personaggio, e poi sempre in diretta potrebbe chiedere - una sorta di suo quiz - se davvero il solo dopato grosso in Italia sia lui, e come mai tanti calciatori hanno gambe molto ma molto più sviluppate muscolarmente di quelle dei pedalatori più erculei.
Il ciclismo non ha mezzi per salvarsi di suo, con le sue armi solite. Deve salvarsi, in una lotta per niente sportiva, facendo leva sulle non ufficializzate, non discusse. non diffuse debolezze altrui. È pazzesco che il ciclismo si lasci massacrare dall’antidoping e che il calcio, che in questa stagione presenta dinamismi fisici di tipo nuovo, sempre più travolgenti e sconvolgenti, la passi sempre liscia. È pazzesco che il calcio chieda aiuto al governo fra pochissimo sdegno di pochissimi e che il ciclismo non osi chiedere qualche lungomare d’estate. È pazzesco che si usi Cipollini perché è bello e non perché è forte, perché è telegenico e non perché digrigna orribilmente i denti quando è sotto sforzo tremendo.
Forse bisognerebbe dare il ciclismo, tutto il ciclismo, ad un mago della pubblicità. Uno che spietatamente, cinicamente, impostasse una campagna di contrasto con il calcio e di rivalutazione dei valori primari, genuini. Offrendo uno sport per chi vuole che il denaro, peraltro poco, sia prodotto dal sudore, come un tempo. Sempre che si voglia vivere modernamente, e non si preferisca invece la vita di una volta, sana e semplice: non sarebbe peccato, anzi, ma bisognerebbe farlo sapere.
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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