François Faber, soprannominato “l’uomo del fango”, morì nel fango: ammazzato da una pallottola in testa mentre evade da una trincea per salvare un commilitone ferito. Era il 9 maggio 1915 e il vincitore del Tour de France del 1909 combatteva a Garency, in Francia. Octave Lapize, detto il Ricciolino, morì in cielo: il suo aereo da caccia fu colpito in volo sopra Verdun. Era il 14 luglio 1917 e il vincitore del Tour de France del 1910, stradista, crossista e pistard, abbandonò corsa e vita. Lucien Mazen, nella storia come Petit-Breton, morì sulla strada: forse una di quelle del Tour de France, che conquistò nel 1907 e nel 1908, nelle Ardenne, durante una missione sul fronte, il 20 dicembre 1917.
La Grande Guerra non fece sconti: morirono anche i campioni italiani. Il 3 dicembre 1917 suonò fatale per Carlo Oriani: il vincitore del Giro d’Italia 1913 era bersagliere ciclista, faceva il portaordini, guerreggiava in bicicletta, quel giorno si tuffò nelle gelide acque del Tagliamento per salvare un commilitone, ma non scampò a una pleuropolmonite.
Un secolo dopo, da domani a mercoledì 6 settembre, per 475 chilometri in quattro tappe da Verona a Trieste, un gruppo pedalerà nei luoghi della Grande Guerra. Per ricordare, per non dimenticare. Per omaggio, per rispetto. Per il passato, per il futuro. L’idea è del senatore Michelino Davico, il patrocinio del ministero della Difesa, il sostegno della Fondazione Ferrovie dello Stato, Eurostampa, Tre Colli e Selle Italia, fra i partecipanti anche parlamentari, cicloturisti, alpini, amici.
Domani da Verona (il ritrovo alle 10, alla Stazione di Porta Nuova) a Levico Terme passando per l’Ossario di Bassano del Grappa (175 km), lunedì dal Sacrario di Asiago a Belluno via Scale di Primolano e Arsiè (90 km), martedì da Vittorio Veneto a Cividale del Friuli con soste a Casarsa delle Delizia per omaggiare Pier Paolo Pasolini e a Udine (100 km), mercoledì da Caporetto a Trieste con visite al Museo e al Sacrario di Caporetto, a Gorizia, Redipuglia e Monfalcone (110 km). Sarà anche l’occasione per appoggiare le battaglie ciclistiche sulla distanza minima (un metro e mezzo) da tenere dalle biciclette in fase di sorpasso.
La bicicletta – sosteneva Alfredo Martini – vale il Nobel della pace. Ma è stata in guerra: reclutata, addestrata, mandata in missione. L'esercito italiano fu il primo a introdurre il velocipede già nel 1876 per le staffette incaricate di portare messaggi. La Francia nel 1886 adottò tre tipi di veicoli per manovre ciclo-militari: triciclo, grand-bi e bicicletta. L'introduzione della bicicletta pieghevole, alla fine del XIX secolo, portò all'inserimento di reparti di soldati-ciclisti, come i bersaglieri nell'esercito italiano. La Bianchi produsse per il ministero della Guerra oltre 30 mila esemplari della Bersagliera, una bicicletta con telaio e forcella elastici, ruote da 60 centimetri a gomma piena Pirelli, struttura pieghevole con attacchi portaspallacci e parafango portamantella, la possibilità di avere la ruota libera e il freno posteriore. Esistevano tre versioni della Bersagliera: con portafucile, con portamitragliatrice e con cavalletto per mortai; verniciata in grigioverde, pesava 16 chili.
Marco Pastonesi