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RAVANELLI: «L'OSCAR È STATO UN PREMIO ALLA TENACIA E ORA...»
di Giulia De Maio | 26/12/2019 | 07:45

Un anno fa si domandava: cosa devo fare per passare? Ora un contratto ce l’ha. Simo­ne Ravanelli è l’emblema di come la vita può cambiare in dodici mesi. Con la sua testa dura e la tenacia è riuscito a realizzare il sogno di diventare professionista e da adesso in poi, lavorando sodo come ha sempre fatto, proverà a concretizzare quello di una lunga carriera nella massima categoria.

Il bergamasco della Biesse Carrera, che ha conquistato l’Oscar tuttoBICI Gran Premio Enervit riservato agli Élite, si è meritato il passaggio al professionismo con la Androni Si­der­mec. Il ventiquattrenne di Almenno San Salvatore, provincia di Bergamo,  appassionato di cucina e lettura, è riuscito a fare la differenza nel mese di luglio quando nell’arco di otto giorni ha vinto quattro corse: la quarta tappa e la classifica finale del Giro del Vene­to, la Pessano-Roncola e il Giro del Medio Brenta. Come stagista è riuscito già a mettersi in mostra nella massima categoria, finendo terzo al Giro del­l’Ap­pennino con i professionisti. Ed è proprio questo risultato ad averlo fatto svoltare, come ci spiega in questa intervista.

Come cambiano le cose in dodici mesi...
«Eh, già. Con il senno di poi, meno male che non ho mollato. A fine 2018 le quattro gare vinte tra i dilettanti, di cui tre nazionali (Matteotti, Valdarno, Collec­chio) e una internazionale (Tro­feo De Gasperi), insieme a svariati piazzamenti non erano bastati a farmi notare e stavo pensando seriamente di smettere. Mi sono dato ancora una stagione e per fortuna, alzando l’asticella nelle gare con i professionisti, mi han­no notato. Quest’anno mi sono fatto vedere di più nelle prove della massima categoria, al Tour of the Alps sono stato spesso davanti nonostante il livello fosse davvero alto e all’Appennino sono addirittura riuscito a salire sul po­dio. Anche nelle gare che ho affrontato da stagista con la maglia della Androni (Tre Valli Varesine, Milano-Torino, Gran Piemonte), che per il livello dei partecipanti è come se fossero World Tour, ho ben figurato dimostrando di essere pronto al salto».

Dove sei stato in vacanza?
«Sono stato cinque giorni a Sofia, in Bulgaria, con alcuni amici ex compagni delle categorie giovanili e la mia ragazza Nadia (Quagliotto, Élite della Alè Cipollini, ndr). Ci siamo conosciuti a Livigno nel giugno 2018 quando en­trambi eravamo in ritiro con le rispettive squadre, stiamo insieme da un anno. L’anno prossimo lei correrà per la spagnola Casa Dorada».

Il tuo punto forte?
«Impegno e meticolosità in tutto quello che faccio».

Tallone d’Achille?
«Mi capita di non credere al 100% nelle mie potenzialità».

La categoria Elite è spesso bistrattata.
«Già, in Italia un ragazzo a 25 anni se non è ancora passato è considerato finito ma ognuno ha i suoi tempi per maturare e gli infortuni possono incidere. Personalmente da quando ho iniziato a correre a otto anni, da G2, sono sempre cresciuto lentamente, an­no dopo anno. Durante le prime due stagioni tra i dilettanti in maglia Palaz­zago mi sono fatto notare in gare im­portanti, in particolare nelle corse a tappe, e le aspettative per il futuro sono diventate ben presto alte. I successivi due anni li ho affrontati in un team Continental come la Trevigiani, incontrando un ambiente ideale per fare il salto di qualità, ma purtroppo sfortuna e malanni, tra cui anche la frattura dell’osso sacro nel 2017, hanno compromesso le stagioni forse più im­portanti per la mia carriera. Non è facile passare tardi perché devi andare subito forte, devi dimostrare di essere pronto, non ti viene concesso altro tempo ma io ora sono sereno. Nel 2019 ho avuto un rendimento costante e po­sitivo fin dal Trofeo Laigueglia. L’apice l’ho vissuto tra Tour of the Alps e Appennino. Tra i dilettanti ho vinto quattro corse e con i prof ero quasi sempre tra i primi 15».

Quando hai firmato?
«Il lunedì dopo l’Appennino, direttamente o indirettamente, ho sentito tut­te le Professional italiane che erano in­teressate a me. Martedì avevo già la penna in mano. Visto il rendimento e la storia di questa formazione ho scelto la Androni Sidermec, sono bravi a far crescere i giovani. Quando ho dato la notizia a casa erano tutti contentissimi, il passaggio è stato sofferto... Più vai avanti e più è difficile. Se ce l’ho fatta è grazie ai miei genitori, agli ex dirigenti delle varie squadre in cui ho militato nelle categorie giovanili, alla Gavardo che negli ultimi due anni non mi ha fatto mancare nulla e alla Trevigiani che ha fatto altrettanto nelle due stagioni precedenti. Un grazie in generale va a chi mi vuole bene».

Ciclismo passione di famiglia.
«Esatto. Mio padre Giorgio praticò questo sport negli anni ’70-80 insieme a suo fratello gemello Lucio, riportando entrambi buoni risultati fino alla categoria juniores per poi decidere di ab­bandonare il ciclismo e andare a lavorare per sostenere economicamente la propria famiglia. Entrambi furono spinti a salire in sella da mio nonno Romualdo, grande appassionato delle due ruote. Successivamente mio padre ha trasmesso la sua passione a mio fratello maggiore Matteo che ha iniziato da G4 per arrivare alla categoria juniores. Alla fine della quarta superiore ha deciso di proseguire gli studi e mollare il ciclismo agonistico. Io già a sei anni ero sempre sulla bici, trascorrevo interi pomeriggi a girare nella strada davanti a casa sotto gli occhi vigili dei miei ge­nitori. Avrei iniziato volentieri da G1 ma mia madre Elisabetta non voleva perché secondo lei ero troppo piccolo. Così il mio inizio è stato posticipato ma solo di un anno, mamma ha dovuto cedere».

Come andò?
«La prima gara a Lecco sulle sponde del lago: avevo una bici di terza o quarta mano presa in prestito dalla società del mio paese, la Gs Vanotti Kociss, che era pesantissima e un po’ antiquata; nonostante ciò arrivai quinto e quando alla premiazione mi consegnarono la coppa ero felicissimo e fu in quel mo­mento che capii che con la bicicletta ne avrei fatti di chilometri in fu­turo. Un particolare divertente di quella gara è che partii guardando gli altri bambini che mi seguivano e all’arrivo avevo ancora la testa girata all’indietro. Ecco, questo è ancora un brutto vizio che qualche volta in gara mi perseguita nonostante tutti i rimproveri ricevuti negli anni».

Come sei stato accolto in Androni?
«Benissimo, la prima impressione che ho avuto è stata ottima. Tecnici, staff e compagni mi hanno fatto sentire a mio agio, in più sono stato schierato subito in gare di un certo livello. Il 2020 del team inizierà dall’Argentina, io non so ancora se comincerò dalla Vuelta a San Juan o dal Trofeo Laigueglia, ma non vedo l’ora di iniziare. Dopo i primi giorni di raduno a Cesenatico, questo mese siamo stati due settimane a Benidorm per mettere un po’ di chilometri nelle gambe e pianificare al meglio la prossima stagione».

Cosa ti aspetti dal tuo primo anno tra i grandi?
«Di riuscire ad aiutare la squadra e, se possibile, di ritagliarmi i miei spazi. Ve­dremo... Non sarà facile, ma i quattro anni trascorsi in formazioni Con­ti­nental mi aiuteranno perché mi hanno permesso di accumulare già una certa esperienza in corse come la Settimana Internazio­nale Coppi e Bartali, se sarò al via sarà la mia quinta partecipazione. È chiaro che le gare WorldTour saranno un altro mondo ma è ora che mi metta alla prova anche con quelle. Co­me ho detto, non vedo l’ora».

Cosa sogni per la tua carriera?
«Prima di tutto di restare tra i professionisti il più possibile, avere una carriera lunga ormai è tutt’altro che scontato. E poi, visto che sognare non costa nulla, la sparo grossa: vorrei correre il Tour de France per ambire alla classifica generale».

da tuttoBICI di dicembre

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