Ma quando si scopre che il doping è fenomeno diffuso in tanti altri sport, anche più nobili del ciclismo che è plebeo e se ne vanta, noi ciclofili dobbiamo essere contenti? Personalmente io lo sono. Lo sono e lo dico e qui lo scrivo anche perché troppe volte mi accade di essere chiamato non tanto a discolpare, anzi a cercare di discolpare, in presenza di accuse che sono subito sentenze, il ciclismo subissato di denunce e di sospetti, ma a discolpare me stesso reo di certe brutte frequentazioni giornalistiche e non solo. Elenco allora i miei pensieri peraltro dogmatici: il doping non esiste soltanto in quegli sport (quasi tutti) che non fanno un serio antidoping o che non fanno antidoping per nulla; comunque il doping conosciuto attualmente soccomberà presto di fronte ai trapianti, alle clonazioni e all’ingegneria genetica; ci può anche essere un doping che porta più vantaggi che danni; il primo doping è il censo, nel senso che il ricco si nutre meglio del povero; casomai il problema grosso è quello della lealtà, cioè della partenza tutti sulla stessa linea per la stessa competizione.
Le rivelazioni sulla approssimazione di tanti, troppi controlli, specie ematici, nell’atletica leggera di vetrina, con la messa in discussione di tantissime medaglie olimpiche e mondiali, ha portato subito i benpensanti, che sono poi quasi sempre i farisei, a cercare di spostare tutto sul mondo della bicicletta: invece di dire “anche l’atletica”, hanno detto”come il ciclismo”. In Italia - toh - dopo pochi giorni dalle rivelazioni di una realtà sempre sospettata, si è parlato in alto e basso loco di preoccupazione ad alto livello non solo sportivo, ma anche sanitario e giurisdizionale, per la diffusione del doping a livello (magari basso) amatoriale fra i ciclisti ed i podisti. Tutta gente che ha un’età notevole, la quale età magari implica anche il diritto di pasticciarsi il corpo a piacere. Secondo me si è trattato di un diversivo persino sfacciato, nei giorni poi della “scoperta” della discoteca tragico laboratorio chimico, con un’azione giornalistica di informazione deviante, per distrarre l’attenzione dal doping dei campioni, quello che i giovani possono cercare di imitare (dei vecchi che si bombano i giovani ridono), ma anche quello difficile da individuare per l’alto livello scientifico delle sue pratiche, per la bassa volontà politica di eseguire azioni forti, e difficilissimo da colpire per la personalità dei campioni, in molti casi ambasciatori autentici del loro possente paese, fortissimo in chiave elettorale, e spesso anche testimoni pubblicitari di holding economicamente potentissime e influenti sulle votazioni per la scelta delle sedi dei massimi eventi sportivi.
Io mi chiedo come sia possibile continuare ad usare il ciclismo quale sfogatoio e intanto lasciarsi scorrere addosso, come su un impermeabile ad alta tenuta, la notizia di due tennisti azzurri radiati per scommesse illecite, anche su se stessi. Eppure è accaduto: niente scandalo, al massimo un “ma no?” con probabile alzata di ciglio. Io mi chiedo come sia possibile continuare a pensare che nel calcio non ci sia che qualche vago accenno di doping, soprattutto da ignoranza o errore, quando basta guardare una fotografia dei polpacci dei giocatori di adesso e scoprirli grossi come le cosce dei calciatori di una volta (a meno di credere a migliaia e migliaia di ore in palestra…). Come si ignori anzi si voglia ignorare che la cocaina - droga, ma anche doping - ormai è nel menu di tanti atleti di tanti sport, anche e magari specialmente dove si serra fra le mani un volante.
Ipocrisia, complicità e attesa. Attesa di cosa? Ma dello scandalo puntuale offerto dal ciclismo, del dirottamento facile di attenzioni e sdegni, del diversivo comodo. Il ciclismo, sport che ospita anche patetici commoventi dementi, non fa mancare nulla a chi lo sa usare come bersaglio distraente. Si gratta le rogne esponendole, si sottopone a controlli avvilenti, quasi si compiace di una leadership chimica. Come a dire: noi abbiamo controllori severi dei costumi, ma abbiamo anche una utenza che è la più sbarazzina. E abbiamo pure avuto il più grande baro e i peggiori gendarmi (il caso Armstrong). Roba da Freud in bicicletta.
Pensieraccio di chiusura, con domandacce di apertura di altra discussione: cosa escogiterà il ciclismo se in altri sport importanti nascerà un caso più vistoso di superiore quello di Armstrong? Perderà. lode a Dio - una sua “supremazia”? In merito esistono quelli che diconsi timori per alcuni, buone speranze per altri. Intanto il “monumento” - concorrenziale a quello ad Armstrong - al non doping “anche se”, al mai doping “nonostante che”, per alcuni sembra avere già le fattezze, pur se non ufficialmente il nome, e sono quelle di un grande sprinter giamaicano. Non dite poi che non vi avevamo avvertiti.
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