Scripta manent
Un refolo di primavera

di Gian Paolo Porreca

Ci manca, in verità, di gennaio, il ciclocross. Ce l’abbiamo dentro, quell’impegno personale a riportare alla luce la corsa più straordinaria che si possa intuire, sui prati dell’altopiano e fra le mura antiche di Me­dio­evo, quel Borgocross di Ca­sertavecchia, malamente sospeso da tre anni, che era sino al 2008 la seconda corsa per anzianità del ciclocross nazionale.
Ce l’abbiamo dentro, con tan­ta amarezza per l’ineffabilità delle autorità locali e la cronica pigrizia di un habitat ciclistico troppo consegnato al pas­sato per saper affrontare concretamente il presente.
Ce l’abbiamo dentro, e nu­triamo sempre in noi, condivisa con il presidente Di Roc­co, la provocazione clamorosa di proporre proprio il Borgo­cross di Caserta­vec­chia come prova italiana del­la Coppa del Mondo UCI. E vorremmo sa­pere se in quella occasione, alla luce di una platea e di un giudizio internazionale, gli En­ti politici non faranno a gara nel trovare quei (pochi) fondi necessari a ridare vita ad una ma­ni­festazione emblematica di Sport&Civiltà. Con le iniziali maiuscole, giusto. E ad im­patto ambientale zero, co­me si dice, con un perverso lessico tecnico.
Ci manca, il ciclocross, e il tempo agonistico di quell’inverno che profuma, sui tratturi e i sentieri dove sbocciano tenaci fiori di prato, di una stagione intermedia.
Ma questo gennaio, curiosamente, sa già di un refolo di primavera. E non solo meramente climatica, al di là delle temperature miti di queste settimane dalle nostre parti.
Possiamo dire meglio, di un refolo di anticipatissima primavera..., che viene a noi sulle ali di un Eolo complice, da un anno ancora più lontano: 2013.

Solo l’idea da qualche parte balenata, infatti, che dalla Campania possa partire un prossimo Gi­ro d’Italia, quello poniamo del 2013, porta in sè una brezza seducente di primavera. Ed anche se sarà illusione, alla ve­rifica dei fatti oggettivi, intanto ce la carezziamo ad occhi socchiusi, come il coniglietto rosa cucciolo nelle braccia di un nipotino.
E con lo sguardo bene aperto, anche se il pomeriggio di gennaio fa ancora così presto bu­io, si illuminano tante prospettive, tanti progetti.
È chiaro, noi, e forse non so­lo noi, il ciclismo da queste parti lo vorremmo sempre, in pianta stabile, per un di­fetto congenito, ma considerate serenamente quante chance eccezionali di un prologo, ad esempio, possono offrire Napoli e la Campania al Giro d’Italia?
Fate voi: una cronosquadre a Posillipo, una cronoscalata dai Maronti a Barano, in quella simbiosi mare-monti senza eguale, sull’isola di Ischia, un circuito a Sor­ren­to, una cronometro mista sul periplo del Vulcano di Roc­ca­monfina... Di tutto e di più, in una fantasia di accezioni tecnico-spettacolari senza confronto.
Immaginiamo poi quale rosa più variegata, se di giornate da degustare in bici, senza litigiosità municipali o provinciali, in Campania ce ne fossero più di una...

Ma di gennaio - oggi, di gennaio 2012 -, forse è più giusto concederci un ricordo personale, e un desiderio pa­rallelo. Ottanta anni fa, il 14 gennaio 1932, nasceva Anto­nio Ma­spes, il più grande velocista del ciclismo sprinter, scomparso a 68 anni, nel 2000. Sette volte campione del mondo, co­me Scherens, con una sfilza di piazzamenti d’onore, una miriade di Gran Premi e il record del surplace più lungo che si ricordi, in un Mondiale, contro Rousseau nel ’60, se­gno del Capricorno come Pan­tani e Karstens, quel Maspes noi imparammo a conoscerlo e ad ammirarlo a Napoli, nel­le Riunioni tipo pista del 1° maggio che alla fine degli anni ’50 si svolgevano sul lungomare, di­nanzi alla Villa Comunale.
Rivediamo, da tanto lontano, dalle spalle di un genitore che ci sembrava il belvedere più miracoloso per un figlio, le sue sfide in particolare contro Re­gi­nald Harris, un celebre, e più maturo, velocista inglese.
E l’arrivo di quelle volate, o il percorso di quei criterium in genere, era puntualmente im­perniato su via Caracciolo, in fronte al golfo. Lì, dove nel ’96 avrebbe vinto Ci­pol­lini; lì dove, nel 2009, con un Arm­strong incuriosito, sa­rebbe par­tita la penultima frazione della corsa di quell’anno.

E anche nel segno di Ma­spes, per questo ricordo bam­bino ed ormai non più tale, “non sono più un ra­gazzo”, per le mani alzate di Cipollini e la mano stretta ad Armstrong, se un Giro dovrà nascere da Napoli, dovrà na­scere doverosamente con una volata individuale contro il tempo, su via Ca­rac­ciolo.
«Quel­lo è il suo destino», co­me dicemmo una sera a Tor­riani. «Succederà, ve­drai, un giorno di maggio succede­rà...», come annuiva il vecchio patron.
I pensieri, intanto, come vele sopra al mare. Ed il cuore ad asciugarsi al sole. O alla luna.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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