Caro amico corridore,
sì, dico a te, a quel genere di corridore che vive al di fuori del tempo, in un’altra dimensione, come se in questi quattro anni niente fosse mai successo, nessuno scandalo, nessuna retata, nessuna vergogna, come se il ciclismo non avesse rischiato troppe volte di restare sepolto sotto un cumulo di macerie, come se questa gloriosa disciplina non fosse diventata tragicamente e definitivamente sinonimo di tossicodipendenza: non ti voltare, dico a te, che probabilmente non hai ancora capito bene.
Mi rivolgo alla tua specie persa senza alcuna speranza di essere compreso, ma con la ferma volontà di mettere in chiaro, pubblicamente e una volta per tutte, una cosa che mi preme, a me e a tantissimi miei colleghi, da troppi anni ormai impaludati in imbarazzanti cronache giudiziarie. È una cosa marginale soltanto in apparenza, ma in realtà pesante e decisiva. In definitiva, è una frase, un luogo comune, un disco consumato che tu e la tua razza brutta mettete ad ogni tintinnio di manette o comunicazione di squalifiche: non c’è bisogno di ricordartela, ce l’hai sempre in canna, pronto a spararla ad altezza d’uomo, suona più o meno così: «Sarete contenti, adesso, voi giornalisti: voi godete a scrivere di doping».
Caro amico demente, se la chimica che ti sei sparato in vena durante questi anni non ti avesse bruciato la centralina, forse riusciresti a capire. Sappi comunque che questo slogan, così teatralmente e platealmente esibito in mille sedi, dai ritrovi di partenza ai salotti televisivi, per arrivare fino ai banconi del bar, ha rotto definitivamente i santissimi. Non sta più in piedi. Non incanta più nessuno. Ma soprattutto non ti devi più permettere di pronunciarlo. Certo i giornalisti non sono una razza migliore delle altre: come tutte le categorie umane, ospita fior di gentiluomini e canaglie fetenti. Ma c’è un elemento comune che lega nell’esercizio della professione i gentiluomini e i fetenti: la passione per la bicicletta.
Ate che sei un gangster, questa espressione - passione per la bicicletta - suonerà vagamente straniera. Eppure è viva e lotta in mezzo a noi. Ti risulterà incomprensibile, praticamente fantascientifico, ma al tuo fianco c’è un sacco di gente che scrive di ciclismo per amore. Mai sentita, questa parola? È gente che potrebbe tranquillamente dedicarsi ad altri settori, dagli spettacoli alla medicina, o anche solo ad altri sport, dal calcio all’ippica, ma che invece insiste cocciutamente, nonostante te e quelli come te, a raccontare storie di bicicletta. Ora, se tu non avessi il cervello in pappa, potresti tranquillamente capire quanto noi di questa categoria possiamo godere dei fatti di doping (per fatti non intendo solo voi, ma anche gli avvenimenti). Riesci ad immaginarlo? Ce la fai? Noi amiamo uno sport e godiamo come bisce nel vederlo seviziato: geniali. Provo con un esempio, vediamo se ci arrivi: sarebbe come se tu godessi nel vedere qualcuno picchiare tuo figlio. Ti fa piacere anche solo sentirtelo dire? Prova a rispondere, forse fai un passo avanti.
Caro amico perso e irrecuperabile: per tua sfortuna, per nostra fortuna, in gruppo sei ormai circondato da tanti ragazzi per bene, che hanno capito molte cose, che magari dopo aver sbagliato hanno comunque preso al volo l’occasione di cambiare. Chissà, forse anche grazie al modesto contributo dei giornalisti, che a loro volta sbagliando spesso hanno comunque proposto idee, introdotto discorsi, svergognato brutture. Ti faccio un augurio sincero: spero ardentemente che presto per te non ci sia più ospitalità, che tu venga inviato a sparare idiozie nei luoghi più idonei, dal marciapiede agli uffici delle questure. E che il ciclismo resti a noi: quelli che corrono e quelli che scrivono con un minimo di passione, godendo come bisce solo delle imprese, della fatica e del sudore (sì, in questo senso noi del ciclismo siamo effettivamente un po’ sadici).
Perchè tu non cada vittima dello sconforto, sappi comunque che non resterai solo. Al tuo fianco, per consolarti e per giustificarti, avrai sempre un sacco di gente della tua risma: quelli che in televisione la menano con la storiella dei corridori povere vittime, quelli che «parliamo della corsa, tanto alla gente del doping non frega niente». Tutta la bella gente che dalle regole, dalla legalità, in una parola dalla fatica dell’onestà, risulta visibilmente infastidita. Quando non viene letteralmente presa dal panico. Loro come te, come trote tolte dall’acqua: si sentono subito un po’ morire.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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