E così, in pieno Giro d’Italia, ci ritroviamo sotto l’influsso del feroce anatema antidoping lanciato dal presidente del Coni, Gianni Petrucci. Al suo fianco, fedele come uno scudiero, il presidente della federazione ciclo, Renato Di Rocco. La sfuriata del capo ha registrato un effetto incredibile: dopo un decennio di silenzi e di ineffabili alzate di spalle, Di Rocco ha improvvisamente convenuto sull’idea di introdurre in questo periodo d’emergenza alcune misure di emergenza, accettando tra le altre l’idea della radiazione. Dopo tanta, cocciuta, suicida resistenza, è il crollo di un tabù. Benvenuto presidente. Complimenti per la tempestività.
Dovrei essere tra i più felici, per questa grande novità della radiazione, essendo uno di quelli che originariamente l’hanno invocata disperatamente. Non sto a ripetere per filo e per segno le motivazioni del durissimo provvedimento: mi limito a dire che solo un pesante inasprimento delle pene, assieme a un altrettanto pesante risarcimento danni, può fungere da vero deterrente in certe strane personalità. Faccio un esempio banale: fosse arrivata prima l’idea della radiazione, non ci ritroveremmo ogni tre mesi a sorbirci le prediche dei Riccò e le loro pretese di rientrare in gruppo. Ce ne saremmo liberati e potremmo guardare avanti.
Ma è un’altra la faccenda che mi lascia depresso, nonostante l’arrivo della radiazione. Sono le parole del pregiato presidente Di Rocco: alla Gazzetta ha trovato modo di dire una cosa che credevo non passasse più per la testa di nessuno, dopo quasi 15 anni di sfracelli. Ha spiegato, il signor Renato, che la radiazione non viene applicata subito al corridore, ma solo a tecnici e medici, perché “il corridore è l’anello debole della catena”. Giuro, ho riletto due volte. Non credevo ai miei occhi. Eppure è così. Nel 2011, c’è ancora qualcuno - non un pistola qualunque: il presidente! - che ritiene il corridore una povera vittima del sistema doping. Inutile insistere: ho appallottolato la povera Gazzetta, con essa tutta la considerazione che mi restava nei confronti del presidente.
Già questa considerazione era scemata molto quando lessi le sue risposte alle domande della mamma di Pantani. Con poche parole opportuniste, il pregiato presidente non si fece problemi ad avvalorare, comunque a lasciare lì sospesa nel modo più deleterio, la famosa idea del complotto ordito a Madonna di Campiglio contro il povero Marco. Mi dissi allora: va bene la politica, va bene la rivalità con l’ex presidente Ceruti, va bene il compiacere tutti per piacere a tutti, ma arrivare a simili punti mi sembra veramente imperdonabile, per un presidente federale. E comunque. Poco tempo ancora, ed ecco qui la teoria del corridore anello debole. Povera gioia, in balìa di maneggioni e praticoni. Lui, così ingenuo e così candido, che se fosse per indole propria non assumerebbe nemmeno un’aspirina.
Presidente, faccia il piacere. Conduca le sue battaglie politiche e manovri come vuole nei palazzi romani, ma per favore eviti di pensare che abbiamo tutti l’anello al naso. Se c’è una cosa che questo decennio ha ampiamente, brutalmente, definitivamente dimostrato, è proprio la straordinaria furbizia del corridore. Che lavora in proprio, pasticcia in proprio, traffica in proprio. Certo in associazione con medici e massaggiatori, come no, non è nemmeno il caso di aggiungerlo: ma certamente non ne è vittima. Ovviamente non parlo del corridore tredicenne, che effettivamente è anello debole. Ci capiamo. Parlo di quelli grandi e vaccinati. L’idea che uomini e padri di famiglia trentenni siano più o meno degli ebeti minorati alla totale mercè di cattivoni e malvagi, se lo lasci dire, è una barzelletta che non racconterebbero più nemmeno nelle bocciofile di paese. Lei, presidente Di Rocco, ancora la racconta, serio e convinto. Sa che le dico? Se nel ciclismo d’oggi c’è un anello debole, credo sia lei.
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