Scripta manent
Cento anni di Primavera

di Gian Paolo Porreca

Il ciclismo, a marzo spe­cialmente, pretende innan­zi­tutto fantasia. Anche se non abbiamo più l’età, e tantomeno una gran voglia, quell’antico adagio “prendi la bici e vai”, caro a figure che ci è naturale citare ancora, come Mario De Angelis e Giuseppe Am­bro­sini, l’Avvocato per an­to­nomasia di un altro ciclismo, andrebbe pur sempre onorato.
E per noi lo fa Mario Ci­pollini, ad esempio, che a 41 anni è riuscito felicemente ad interpretare il ruolo di un redivivo Eroe dei Due Mon­di. A giocare con Cavendish e Cio­lek, che potrebbero essergli figli, dopo aver a suo tempo congedato Abduja­pa­rov e Vanderaerden (ed Erik, non Gert...).
E lo fa, ancor più, su strade meno battute dalla gloria, quel ragazzo scozzese di 25 anni, Mark Beau­mont, che ha appena concluso il suo Giro del Mondo in bici in 195 giorni: 18.400 miglia, pari ad oltre 29.000 chilometri. Un record da Guinness dei primati, tanto per banalizzare, visto che il limite precedente di una analoga prestazione era fissato su un target molto più basso, come i 276 giorni di bi­ci dell’inglese Steven Strange.

Ma, al mese di marzo, quella cifra - quei “29.000 chilo­me­tri” - curiosamente ci evoca un’altra fantasia. E uno spontaneo tranello della mente e della memoria: se il nostro marzo resta il tempo sacrosanto della “Sanremo”, con i suoi 290 chilo­metri o giù di lì da sempre, dal 1907, primo Petit Breton, e se questa del 2008 sarà la 99. edi­zione della Classicissima...
Allora, ricordandolo con un anno sabbatico di vantaggio e di preparazione, nel 2009 si correrà la Mi­la­no-Sanremo numero 100. E si concluderanno i primi 29.000 chilometri della più affascinante delle corse in linea, il suo primo emblematico Giro del Mondo.

Da oggi, così, per un ci­clismo attuale che ha bi­sogno concreto del pas­sa­to per affrontare e valicare il pre­sente, vorremmo che ci pre­pa­rassimo tutti - dalla RCS e dal­l’amico Zomegnan, agli uomini di scrittura non condannati all’in­stant-book, alle istituzioni pub­bliche e sportive - a programmare una grande celebrazione su pa­gina, e non di quotidiano, del centenario della Milano-Sanremo.
In un mondo di lettere e affini che ha adottato, con franco sospetto, il rugby leale, dopo aver decantato per anni il tennis immacolato, ad­ducendo l’elìte alla platea, sarebbe francamente il caso di offrire all’Italia una evocazione GRANDE della Milano-Sanremo. Sa­ranno - l’anno prossimo - cento anni e cento vincitori, alcuni, i mi­gliori, da Girardengo a Merckx, da Coppi a Bartali, ripetuti più volte.
Non vorremmo solo, altre ce ne so­no già, e degne, un abbecedario cronistico della corsa: iscritti, ordini di arrivo, tempi et similia. Vorremmo un controcanto della fan­tasia, a questo registro pur meritorio e suggestivo di dati.
“Sanremo” è ricordo, ed è profumo intrigante di quel che è stato e di quel che non è stato: alla rinfusa, Simpson e Poulidor, Beccia ri­preso, un belga di nome improbabilmente Seneca, Tchmil Kuiper Cipollini che vincono in nome dei “vecchi”, Dancelli in lacrime ed il secondo arrivato - Karstens - che esulta pensando di aver vinto lui, il primo Poggio e la corsa dei francesi, Bartali su Van Steenbergen, Po­blet ed il patron Borghi, Coppi e Teisseire e un distacco di 14 minuti esatti, senza obbligo dei secondi, il primo Merckx e l’ultimo, quel Du­rante secondo, Petrucci di no­me Loretto, Gimondi che si invola, Bondue e Golz che inseguono ancora vita natural durante Go­mez e Bugno ri­spettivamente, un terzo di nome Riccò ed un regionale di nome Anastasì...
E continuereste certo voi, a scriverla, Poggio e via Roma comprese, questa storia che è ufficiale sì, ma adesa anche al sentimento intimo di qualsiasi amante vero del ciclismo.

Cento anni di Primavera è il titolo giusto di quest’opera che sugge­riamo, per esem­pio, a quel plotoncino di amorosi scrittori che intorno a Gianni Rossi ha mirabilmente archi­tet­ta­to Quel Giro d'Italia del Nove­cento.
Cento anni di Primavera - e i suoi 29.000 chilometri, l’anno prossimo -, a chiedersi per una volta non chi vincerà la Milano-Sanremo, ma chi l’ha già vinta.
Cento anni di Primavera, ad esorcizzare, oltre al malinconico ciclismo andante, anche i nostri infiniti anni di solitudine.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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