Rapporti&Relazioni
Ciclinvecchiare

di Gian Paolo Ormezzano


Iciclisti nel senso di corridori in bicicletta (ché poi questa definizione di corridori, applicata anche ai piloti di auto - i quali però almeno in certe prove al via corrono da pedoni ipertesi per andare a ficcarsi dentro i loro bolidi, avviare i motori e partire -, è arcaica e buffa e impropria: noi la cancelleremmo senza neanche cercare di sostituirla), i corridori dunque hanno secondo noi due caratteristiche alle quali non si presta troppa attenzione: 1) sono ottimi guidatori di automobili; 2) invecchiano decisamente meglio di tanti altri ex sportivi.
Sembra quasi che, dopo una vita da atleti in cui l’automobile ha giocato per loro una parte assai importante, diventando casa, laboratorio, ambulanza, magazzino, confessionale, vogliano, i ciclisti corridori, restituire all’auto una vita insieme sfrenata e sicura, veloce e interessante, frenetica e provvida. Con la loro vettura fanno delle grosse imprese, al limite del fachirismo da guidatore, rischiando molto ma quasi mai rischiando troppo. Trascurano del tutto il treno e, sin dove possono, l’aereo. Magari adoperano l’auto per portare la bicicletta a posti di partenza di avventure, escursioni, raduni mobili, però fanno tutto ad alta velocità e intanto usano al meglio i riflessi che servivano nelle discese, nelle acrobazie di una volata.

Al seguito delle corse le auto - percentualmente tantissime - pilotate da ex ciclisti sono le più agili, le meglio condotte, spesso le più sicure. In discesa soltanto un ex ciclista riesce, al volante di un’auto, ad andare più forte dei corridori in bici. Piloti professionisti patentati hanno subito umiliazioni pesanti, scacchi dolorosi. Non sappiamo, di tutto questo, il perché, ma sappiamo che sì.
E comunque, alla guida o no delle auto, questi ex corridori invecchiano bene. Per pochi disastrati dal tempo, ci sono i molti che rimangono, fra gli ex atleti, i più e meglio eguali ai se stessi che furono negli anni dei trionfi fisici. Una lunga frequentazione, giornalistica e non solo, di praticanti ai tantissimi sport, ormai per - ahinoi - tantissimi anni, ci permette di spingerci in una asserzione di superiorità, come dire?, geriatrica da parte dei ciclisti nei riguardi di ogni altra categoria di atleti, di sportivi: inclusi quelli che fanno splendida vita salutistica, ad esempio i velisti, gli alpinisti.

Scriviamo così con certezza assoluta di non sbagliare, la stessa certezza che ci porta, anche per esperienze personali, a scrivere che nessuno invecchia male come il nuotatore, fra l’altro sottoposto, quando smette di passare ore e ore in acqua, al rituale dell’ingrasso: perché le sue ghiandole sebacee continuano automaticamente a secernere in abbondanza quel grasso che prima serviva a difendere i loro corpi dal freddo (il nuoto brucia calorie anche se inteso come puro e semplice galleggiamento: sono quelle sacrificate all’acqua, che è sempre almeno un poco fredda).
L’unico grosso rischio fisico del ciclista è l’obesità, propiziata anche dall’abitudine di ingurgitare moltissimo cibo, contratta quando il cibo era combustibile da bruciare in grandi fatiche. Suppliscono di solito una vita frenetica per il lavoro di tutti i giorni, un bel po’ di attività sulla bicicletta. Ci sono ovviamente casi difficili, e lo stesso Eddy Merckx è stato uno di questi, ora - pare - felicemente risolto.
Comunque l’estate che abbiamo lasciato alle spalle è stata per noi quella di un incontro bellissimo, in Toscana, con un corridore toscano che ai suoi tempi, anni sessanta e settanta, doveva vincere, in gara, un’anomalia al cuore che faceva zompi improvvisi: era bravo nonostante il suo cuore matto, vinceva molto, sembrava comunque sempre tenuto insieme dallo scotch. Lo abbiamo ritrovato, pensavamo ad un vecchio cardiopatico con i capelli precocemente bianchi e il cuore stanco, invece abbiamo visto uno splendido, magro, teso, agile Franco Bitossi.

hhhhhhhh

Hanno avuto una certa diffusione le avventure dei nostri ciclisti a Pechino, in missione preolimpica. Inquinamento, soprattutto, e loro nella parte delle cavie. Comunque lo dicevano già gli antichi: qui è Rodi, e qui devi saltare, a proposito di uno che orgogliosamente si proclamava capace di fare certe cose in un certo posto.
L’occasione dei Giochi olimpici 2008 ci serve comunque, qui, per offrire una speciale immagine ciclistica di Pechino. Bisogna tornare indietro al 1966. In quell’anno chi scrive queste righe riuscì ad entrare nella Cina di Mao, che con l’Italia non aveva relazioni diplomatiche, grazie ad una speciale provvisoria carta di identità francese, avendo la Francia ripreso la scambio di ambasciatori. Furono giorni entusiasmanti per un reportage unico (allora) nello sport cinese, e rientrato in Italia bestemmiai perché maledissi il Giro che cominciava quasi subito, che mi reclamava al seguito e pertanto mi obbligava a chiudere in poche puntate, su Tuttosport, quel mio servizio fortunato e specialissimo. Ecco, della Pechino di allora - passo decisamente alla prima persona singolare, necessaria per la singolarità, appunto, dell’esperienza - ricordo la presenza dei ciclisti, milioni, davvero milioni a fronte di pochissimi automobilisti e tutti su auto governative. Milioni di ciclisti, uomini in larghissima maggioranza, che sciamavano silenziosi per le grandi arterie della capitale, nere le loro biciclette, e in qualche modo sistemato (una cassettina portapacchi, una semplice assicella) sul manubrio un uccello scuro, cormorano o parente. L’uccello era trattenuto da una lunga catenella, e un anello gli serrava il collo. Il ciclista pedalava sui grandi ponti del grande fiume dove ogni tanto faceva una nuotatina il presidente Mao, dei molti canali, si fermava accanto al parapetto, lanciava l’uccello verso l’acqua, la catenella si svolgeva tutta, l’uccello si tuffava e col becco pescava un pesce, non riusciva ad inghiottirlo per via dell’anello, non lo mollava, tirando la catenella il ciclista richiamava l’uccello, gli prendeva il pesce e il pasto era assicurato.

Quei ciclisti di quaranta e passa anni fa non sapevano cosa fosse l’Olimpiade, la Cina di Pechino era uscita dal consesso olimpico nel 1956 (protesta contro la presenza della Cina di Taiwan), Mao aveva proibito di menzionare lo sport a cinque cerchi. Adesso i ciclisti di Pechino devono chiedere spazio alle auto, l’inquinamento probabilmente ha ucciso anche i pesci del grande fiume, chissà dove sono finiti i cormorani: chi ha avuto la fortuna di conoscere quella Cina non riesce a pensare a ciclisti che in Pechino pedalino freneticamente, per quella che chiamano gara, nella fattispecie olimpica, senza fermarsi accanto al parapetto e mandare il cormorano a fare la spesa.
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