Rapporti & Relazioni

POGACAR, IL FENOMENO CHE FA FESTA

di Gian Paolo Ormezzano

Secondo me, ci sono almeno tre punti “grossi”da considerare e valutare per consegnare alla grande storia del ciclismo Pogacar (che comunque è venuto al Giro già da vincitore di due Tour…). Ognuno dei tre punti contiene alcune riserve che possono dimensionare quella che vorrebbe essere una sua assolutezza, una sua perentorietà di campione. C’è anche un quarto punto, ma ce (ve) lo riserviamo per la fine di questo articolo, se qualcuno vorrà leggerlo sino in fondo. Non consideriamo un quinto possibile punticino, quello relativo alla pochezza dei suoi avversari: troppo facile e comodo,  e intanto ingiusto. Dunque:  
1lui è  un fenomeno, amen. Non c’entrano tradizione, vi­vaio, pratica di massa ecc., ecc. Ma allora cosa è chi Po­gacar lo ha battuto e al Tour, ad esempio quel certo danese di cui quasi quasi non ci si sovviene più del nome?
2lui è l’espressione di pun­ta, di puntissima, di una mentalità sportiva di tutto uno straordinario paese, quello slo­veno, che prima do­veva sentirsi asservito e sfruttato nello sport come membro in una federazione di paesi più grandi. L’indipendenza ha sbrigliato anche lo sport, e specialmente uno sport individuale. Ok, ma possibile che neanche un’avvisaglia fosse stata avvertita prima?
3se lui verrà battuto al Tour de France, si dirà che la classe non è acqua e che la tradizione conta pure qualcosa. Pos­si­bile che si parli an­che della ca­sualità spinta, sintetizzata simbologicamente da  una curva assassina del Gi­ro dei Paesi Ba­schi, con uno strato di ciclisti grandi, anche campioni, ferito seriamente, e celebrando il loro ritorno a spe­se appunto dello sloveno iperfortunato.  

Alcune delle considerazioni si dilatano nei particolarismi, si intersecano con altre. E adombrano subito la bestemmia, suggerendo la parolina-parolaccia: doping. Quando per me, se esistesse un prodotto davvero  in grado, e senza al­terazioni profonde ed irreversibili e pericolose, anzi (il caso di Armstrong), di operare certi miracoli, conservando, come nel caso appunto dello sloveno, del personaggio fruitore leggerezza, allegria, freschezza atletica, lucidità, addirittura sportività esibita, questo prodotto sarebbe da  produrre ed imporre a tutti, come pozione davvero magica.

Considerazione particolare emergente a questo punto: Po­gacar è sempre estraneo ad ogni drammaticità. Anche quando cade. Drammaticità nel senso pure di recitazione: agli arrivi fa festa esplicita probabilmente studiata mossa dopo mossa, con gesticolazioni ad hoc eccetera, niente a che vedere con il Coppi sempre teso e quasi triste, che passava vittorioso il traguardo senza mai alzare le braccia al cielo. La Cuneo-Pinerolo di Fau­sto è stata un’opera teatrale somma, complessa, storica, lirica, i successi di Pogacar sono balletti festosi. E quanto a Merckx, e se vogliamo anche a Bartali ed altri, tante sue vittorie sono state esibizioni di altissimo, durissimo facchinaggio.

Per finire con un punto che è un punticino, come premesso tante righe fa: pensate se Po­gacar fosse un francese, alla te­sta che ci farebbero i cugini, al Tour come si sdraierebbero sotto di lui, a come insomma sarebbe più difficile e impegnativo volergli tutto questo allegro bene.

P.S. Ma sapete almeno che si pronuncia Po­gà­ciar?

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