
di Giulia De Maio
È già nella storia, vuole entrare nella leggenda. Tadej Pogacar è il favorito numero 1 del Giro d’Italia che scatta da Venaria Reale il 4 maggio anche se non l’ha mai corso. In questo inizio anno ha dominato tanto da far sembrare facili imprese d’altri tempi e possibile la doppietta maglia rosa-maglia gialla che a nessuno riesce da 26 anni. Era il 1998 quando Marco Pantani centrò il successo nella “corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo” e alla Grande Boucle: Pogi avrebbe visto la luce un paio di mesi più tardi dal braccio del Pirata alzato da Felice Gimondi sui Campi Elisi di Parigi (Tadej è nato il 21 settembre 1998, ndr). Era un ciclismo molto diverso da quello attuale, ma se c’è un corridore che affascina il pubblico come riusciva a Pantani, è proprio il venticinquenne sloveno.
L’amore dei tifosi diventerà infinito se riuscirà in questa missione impossibile per tutti o quasi. Finora ci sono riusciti in sette. Su 150 edizioni di Giro e Tour dal 1949 della prima doppietta di Fausto Coppi, l’accoppiata è riuscita solo 12 volte. Il Campionissimo l’ha centrata nuovamente nel 1952, poi il francese Jacques Anquetil nel 1964, il belga Eddy Merckx tre volte nel 1970, 1972 e 1974, il francese Bernard Hinault nel 1982 e ’85, l’irlandese Stephen Roche nell’87, lo spagnolo Miguel Indurain nel 1992 e ’93, e infine il Pirata di Cesenatico nel 1998.
Alla sua prima corsa dell’anno, la Strade Bianche, il fuoriclasse dell’UAE Team Emirates ha attaccato a 81 km da Piazza del Campo, sullo sterrato di Monte Sante Marie: una fuga mai vista che ha unito fantasia e grandezza, coraggio ed epica (nelle grandi classiche lo precede solo Coppi nella Sanremo 1946, con 147 km di fuga solitaria, ndr). A seguire è salito sul podio della Milano-Sanremo con gli amici Jasper Philipsen e Michael Matthews, ha dominato la Volta Ciclista a Catalunya vincendo 4 tappe e tutte le classifiche in palio e ha stravinto la Liegi-Bastogne-Liegi con 35 km di assolo da aggiungere alla lista delle sue cavalcate solitarie. Ha festeggiato la sua 70a vittoria tra i professionisti, categoria in cui milita dal 2019, da sempre con la formazione emiratina, cui è legato fino al 2027 per 6 milioni di euro l’anno.
Per puntare alla doppietta Giro-Tour, ha dovuto fare delle rinunce: in particolare, non ha difeso il titolo al Fiandre, la sua corsa preferita, ma guai a dirgli di non gustare l’amata carbonara. Pare sia forte anche a cucinare i sughi per la pasta, secondo le ricette italiane, ça va sans dire.
«Partecipare a due grandi giri e ambire al meglio in entrambi come nel mio caso, è un “grosso lavoro”. Ci vogliono preparazione e sacrifici, ma per fortuna la mia squadra, le persone che mi stanno attorno, mi supportano al meglio. Questo rende le cose più facili - ha spiegato in questi mesi a La Gazzetta dello Sport -. In gara al Giro certamente darò il cento per cento, impossibile fare calcoli. Credo in me stesso e penso che dopo il Giro avrò il tempo necessario per recuperare le energie spese. Non sono stressato per questo, non mi risparmierò pensando alle corse successive».
Attivo promotore del ciclismo giovanile con il suo Pogi Team, rispetto alle stagioni precedenti ha cambiato programma e anche preparatore, ora è Javier Sola, che fa sempre parte dello staff della squadra guidata da Mauro Gianetti.
«È stato diverso quest’anno perché ho un nuovo allenatore (lo seguiva Iñigo San Millan, rimasto tra gli allenatori del team ma ora anche capo della performance dell’Athletic Bilbao di calcio, ndr) e sono differenti le strategie di preparazione. Ho l’impressione che quasi tutto sia nuovo. A volte per il corpo un qualche tipo di “shock” può essere salutare, per non ripetere sempre le stesse cose a cui ci si abitua. Mi fido delle persone che mi circondano e del fatto che, seguendo i piani, io possa essere competitivo in gara».
Finora lo è stato, decisamente. Nelle classiche monumento, seppur ancora giovanissimo, vanta già 6 successi: 2 Liegi (2024 e 2021), 1 Fiandre (2023), 3 Lombardia (2021, ’22, ’23). La sua peculiarità è però essere competitivo tanto nelle corse di un giorno quanto in quelle a tappe. Nel grande giro più prestigioso al mondo, che quest’anno per la prima volta nella storia partirà dall’Italia, nelle ultime quattro edizioni ha vinto due volte e altrettante è arrivato secondo alle spalle di Jonas Vingegaard, a cui ha inviato auguri di pronta guarigione dopo la drammatica caduta in cui il danese è stato coinvolto insieme a tanti altri ciclisti alla Itzulia Basque Country.
Il suo ex compagno di squadra e vicino di casa Davide Formolo dopo la Strade Bianche ha dichiarato: «Sembra che Tadej faccia un altro sport rispetto a noi. Può vincere sia i 3 grandi giri sia i 5 Monumenti. Dobbiamo tornare a Merckx e Hinault per fare un paragone».
Oltre che essere un fenomeno, in effetti Pogacar sembra una macchina del tempo umana, nel senso che ha già scomodato e scomoda parallelismi con il passato che sembravano impossibili. Eddy Merckx, il Cannibale che ha vinto più di tutti, si era già esposto considerandolo un suo possibile erede. Non si limita a demolire i rivali, ma riscrive storia e primati. Per il Pogacar visto in questo 2024 sembra proprio che limiti non ce ne siano: e se invece che Pantani il vero riferimento fosse, per esempio, la tripletta Giro-Tour-Mondiale? Solo due precedenti: Merckx 1974 e Roche 1987. Confronti da far perdere la testa, ma non a Tadej che resta un ragazzo con i piedi per terra e il sorriso sempre stampato sulle labbra, che si diverte con la Playstation e a tirare le freccette. Sembra passata una vita dalla prima volta che l’abbiamo intervistato al Giro d’Italia Donne quando, con un cartello disegnato di suo pugno, era al seguito della corsa per tifare a bordo strada Urska Zigart, la fidanzata professionista con la Jayco AlUla con cui convive a Montecarlo e che nel 2025 diventerà sua moglie. In realtà sono passati solo pochi anni, quelli in cui è sbocciato e si è fatto conoscere in tutto il mondo. L’era di Tadej Pogacar nei prossimi giorni potrebbe regalarci una nuova impresa. Parte con il peso del pronostico ma la leggerezza che lo contraddistingue. Dalla sua ha la giusta determinazione per tentare una sfida terribilmente complicata, che comincia il 4 maggio da Venaria Reale e si concluderà a Nizza il 21 luglio, a pochi giorni dall’avvio dei Giochi Olimpici di Parigi, che non ha alcuna intenzione di mancare. Sono solo quattro le settimane tra il primo grande giro che ha nel mirino e il secondo, troppo poche per recuperare dagli sforzi del Giro e prepararsi a quelli del Tour per chiunque, forse non per questo talento alto 176 cm per 66 kg di pura potenza. Numero uno della classifica mondiale, bronzo olimpico nella prova in linea a Tokyo 2021 alle spalle di Carapaz e Van Aert e bronzo mondiale a Glasgow 2023, battuto da Van der Poel e Van Aert; ha vinto due Tour de France, nel 2020 e 2021, secondo nel 2022 e 2023, in quattro edizioni ha fatto sue 11 tappe alla Grande Boucle. Alla Vuelta, il suo primo grande giro, è giunto terzo nel 2019. Finalmente si confronta con la “corsa a tappe più bella del mondo nel paese più bello del mondo”.
«L’Italia è sempre stata il mio Paese di riferimento da quando ho cominciato a correre e nel mio menu prevedo parecchia pasta e pizza... - aveva annunciato a inizio stagione svelando il suo calendario -. Il Giro è una delle mie corse preferite perché l’Italia è vicina alla mia Slovenia e da bambino adoravo seguire la corsa rosa in tv. Ho anche visto qualche tappa dal vivo con i miei genitori. Una su tutte: quella finale di Trieste 2014, vinta dal mio connazionale Mezgec. Da anni volevo venire a correrlo, ma ero ancora molto giovane e giustamente la mia squadra ha preferito farmi crescere piano piano, permettendomi di disputare una sola grande corsa a tappe a stagione. Ora finalmente il mio sogno si può avverare. Per me è importante cimentarmi sempre in nuove sfide, per come vedo io il ciclismo, ho bisogno di cambiare e trovare nuovi stimoli ogni anno. Mi aspetto un grande tifo sulle strade italiane. So che tutti si aspettano grandi cose da me».
Tadej arriva con soli 10 giorni di gara nelle gambe, ma in 7 di questi lo hanno fotografato con le braccia al cielo. Un ruolino di marcia impressionante e che fa già tremare le gambe degli avversari. Non vede l’ora di macinare i 3.400 km in programma e sa che già al secondo giorno si confronterà con Pantani, in uno dei suoi giorni più grandi: l’arrivo in salita al Santuario della Madonna Nera a Oropa (Biella). Qui nel 1999 il Pirata in maglia rosa ha un salto di catena a inizio ascesa, è già padrone assoluto del Giro, senza rivali, ma si lancia in una rincorsa forsennata, come se in cima ci fosse l’ultimo traguardo. Uno dopo l’altro salta 49 corridori.
«Sono troppo giovane per ricordare Pantani dal vivo, ma so quanto sia stato fondamentale per voi italiani e per il ciclismo mondiale. È stato un eroe per molti appassionati del nostro sport. So che la doppietta è una delle imprese più difficili nel ciclismo, pertanto un passo alla volta. Parto con il Giro e non vedo l’ora di debuttare nella corsa rosa. Darò il meglio di me stesso, il 100%, andrò full gas senza pensare ad altro. È una corsa molto dura, ma può anche caricarti a mille psicologicamente» ha raccontato sulle pagine di G Magazine. La scelta di mettersi alla prova al Giro in accoppiata al Tour proprio quest’anno non è casuale. Il percorso di questa edizione ha diecimila metri di dislivello in meno rispetto al 2023, sono 44.500, ed in particolare l’ultima settimana non è estrema come in passato. Ci sono due cronometro, in Umbria (Foligno-Perugia, 40 km) e sul Lago di Garda (Castiglione delle Stiviere-Desenzano, 31 km), adattissime a uno specialista come Pogacar, e anche quei 12 chilometri di sterrato senese nella giornata di Rapolano Terme sono perfetti per lo sloveno, che ha dominato la strade Bianche 2022 e 2024. Due le tappe chiave in montagna: la 15a con traguardo a Livigno Mottolino, dopo aver affrontato il Mortirolo dal versante bresciano più facile di Monno, e la 20a, penultima, con la doppia ascesa al Monte Grappa, versante di Semonzo, quello di Nibali 2010 e Quintana 2014. È in queste giornate che si deciderà il Giro, noto per avere insidie disseminate ovunque. Con il suo classico sguardo vispo e limpido da “bimbo” entusiasta Taddeo è pronto per andare all’assalto di quello che si può considerare il Sacro Graal del ciclismo, la doppietta Giro d’Italia-Tour de France nello stesso anno che in questo secolo non si è ancora vista. Ma siamo nell’era di Tadej Pogacar, tutto è possibile. Godiamoci lo spettacolo.