Gatti & Misfatti

Estate, torna la noia del campione

di Cristiano Gatti

Avvertenza importante per l’estate che arriva. È doverosamente rivolta a quel genere di appassionati che adora il grande gi­ro livellato, incerto, equilibrato, meglio fino all’ultima tappa, meglio con una folla di corridori accatastata in testa alla classifica, nel giro di po­chi secondi. Per capirci, quel genere di tifosi che si sono sublimati con l’ultimo Giro, risolto in 3 chilometri finali sulla Marmolada. Attenzione, voi dell’equazione livellamento uguale spettacolo: arriva il Tour. Vi aspetta un terrificante luglio di noia mortale.

Ma come no, arriva la noia che odiate e che più volte avete esorcizzato beandovi davanti al Giro democratico, il Giro senza fenomeni e sen­za dittatori. Sarà durissima. Torna in scena Pogacar. Tor­na in scena Roglic. Tornano in scena le squadre corazzate che impongono i loro ritmi e le loro strategie. Tornano in scena gli attacchi veri, pesanti, letali. E i contrattacchi. E i duelli. E i testa a testa. Tor­na­no in scena le cronometro supersoniche. Tornano in sce­na quelle deplorevoli perversioni che comunemente chiamiamo distacchi. Torna in scena, in altre parole, l’altro ciclismo. A ciascuno il suo. Ciascuno scelga e si prenda il preferito. Evitando però tutti quanti di dire che il proprio è il migliore. La tolleranza insegna che non si dice questo è il più bello: si dice questo mi piace di più.

Se poi qualcuno risponde prendo tutto, mi piace tutto, fa lo stesso. Però resta un’equidistanza un po’ inspiegabile, quasi contro natura. Perché in natura uno esclude l’altro. Proprio all’ultimo Giro questa opposizione è emersa nel modo più eclatante: quello che per taluni (mi ci metto senza mimetizzarmi) era un Giro piatto, fiacco, moscio, senza acuti e senza imprese, senza purosangue e senza campioni, per al­tri era invece il massimo delle libidini. Ciò che veniva de­nunciato come livellamento in basso, per tanti era equilibrio ideale e perfetto. Que­stione di gusti, questione di estetiche personali. Però mi sembra evidente che proprio questi ultimi non potranno accostarsi volentieri al Tour. L’hanno detto e scritto a chiare lettere tutti i giorni, a maggio, ponendo la fatidica do­man­da retorica: cosa volete, il grande giro dominato dal solito fenomeno che ammazza la corsa e non fa succedere più niente?

Eccolo qui, quell’odioso genere di grande giro. Torna in scena Po­ga­car, e con lui un Roglic persino meno sicuro di altre volte, per via dei noti problemi. Quello che ci aspetta è già scritto ancora prima di cominciare: vediamo chi riesce a impedire che Pogacar vinca il terzo Tour consecutivo a 23 anni, tris mai riuscito ad umano in tutta la storia della bicicletta.

Pensa la prospettiva deprimente: un ra­gaz­zino che può vincere il terzo Tour all’età in cui per tradizione bisogna crescere con molta calma, facendosi le ossa, aspettando come minimo la maturità dei 26 anni. Pensa la noia di vedere se qualcuno riesce a fermare questa sua irresistibile e travolgente carriera. E pensa se addirittura lui invece riesce un’altra volta a metterli tutti dietro, tutti lontani, a suon di vittorie a cronometro e in cima alle montagne. Pensa quant’è triste assistere tutti i giorni alla straordinaria superiorità di un atleta baciato dalla natura e magari dal Pa­dreterno. Pensa e procedi con la scelta: o il Giro dei mezzi campioni, o il Tour del fuoriclasse assoluto, che sa fare cose vietate e impossibili a tutti gli altri umani.

C’è chi non prova niente vedendo il campione vincere la tappa in maglia rosa o in maglia gialla. Lo trova scontato e per niente emozionante. Magari, persino sospetto, dato che ormai le vere prove di forza diventano automaticamente prove d’accusa. Que­sta la situazione, questo il nostro modo di porci in visione. Il partito dell’equilibrio contro il partito del campione. Bipolarismo perfetto, senza possibilità di mediazioni. Democraticamente, ognuno si serve a piacimento. Io voto campione. Sempre. Mai trovato un campione, in nessuno sport, che mi abbia an­noiato: da Federer a Valen­ti­no Rossi, dalla Pellegrini fino a Jacobs. Magari posso anche non tifare per loro, ma la noia mai. Dev’essere che ogni vol­ta, in modo diverso, riescono comunque a smuovere l’emozione più raffinata e difficile: lo stupore.

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