Alberto Bettiol: «Adesso sogno Tokyo»

di Giorgia Monguzzi

Alberto Bettiol voleva tornare al Giro, lo voleva fortemente: dopo ben tre partecipazioni al Tour, aveva bi­sogno di ritornare a casa, a quella corsa che gli aveva fatto conoscere il ciclismo per fare ta­bula rasa e ritrovare se stesso. Da ne­ces­sità, il Giro per Alberto si è trasformato in un’avventura straordinaria che lo ha visto vincere la diciottesima tappa da Rovereto a Stradella, una frazione bellissima che lo ha portato a cogliere un successo rincorso troppo a lungo.
Due anni fa al Giro delle Fiandre aveva stupito un po’ tutti, un outsider che arrivava solitario sul traguardo di Oudenaarde al termine di una battaglia vera; Alberto Bettiol aveva 25 anni e metteva la firma su una delle corse più importanti del panorama mondiale. Quella vittoria gli ha cambiato la vita, è lui stesso ad ammetterlo «non succede tutti i giorni di vincere un Fiandre, soprattutto a me che sono un ragazzo di provincia, mi sono ritrovato catapultato in un mondo pazzesco, ma da quel momento sono incominciate le pressioni. Sono entrato in una nuova dimensione a cui non ero preparato».
Da vittoria da sogno, il successo nella classica del nord si è trasformato in una pietra di paragone ingombrante, costantemente presente nella vita di Alberto da cui si pretendevano risultati a tutti i costi. Eppure lui i risultati li portava a casa, da ottimo uomo squadra aiutava i capitani, una manciata di piazzamenti, senza tener conto degli infiniti attacchi tra classiche e corse a tappe. È stato difficile per Bettiol capire quali fossero i veri amici, troppa gente dopo quella spettacolare vittoria era salita sul carro del vincitore per poi lasciarlo nel momento più difficile.
«Tutti si aspettavano tanto, alcuni mi hanno anche detto che la vittoria del Fiandre era un caso, la squadra però non mi ha mai abbandonato, ha sempre creduto in me e nelle mie possibilità. Ora so che le persone più vicine che mi vogliono bene e che mi dicevano di non mollare avevano ragione»
Vincere un Fiandre vuole dire tanto, è una corsa con una grande storia, ma il Giro è il Giro, è la corsa che per Bet­tiol ha un posto speciale nel  cuore, la detentrice del suo primo ricordo legato al ciclismo.
«Il Giro è sempre stato parte della mia vita. Mi ricordo quando la corsa rosa passava dalle mie zone, alle scuole elementari di Castelfiorentino dove andavo io era una specie di festa - spiega -: eravamo tanti bambini che guardavamo la corsa come affascinati. Ci divertivamo ad indicare i corridori e facevamo la gara a chi trovasse per primo la maglia rosa, sembrava di assistere al passaggio di una corsa incantata. Tifavo per Paolo Bettini, era il corridore di ca­sa e mi sembrava fosse imbattibile, mi fa un po’ strano essere diventato suo amico e fare parte adesso del suo stesso mondo».
Da allora il toscano ha iniziato ad inseguire il suo sogno, lui la corsa rosa ama chiamarla così, una magia durante la quale il pubblico abbraccia il gruppo di corridori di cui anche lui ora fa parte.
Era stata tanta l’emozione nel prendere parte al suo primo Gi­ro d’Italia, era il 2016 e affrontava la corsa rosa al fianco di Rigoberto Uran. Un sogno che a tutti gli effetti sembrava trasformarsi in realtà, lo strano paragone tra il sé bambino e i piccoli tifosi che invece ora attendevano lui a bordo strada. Quest’anno Al­berto Bettiol ha voluto ritornarci, lo ha chiesto alla squadra che ha accolto la sua volontà. Fin dalle prime tappe era evidente la sua forma strepitosa, più volte all’attacco e sempre più spesso ultimo uomo di un Carthy che si era presentato al via per puntare alla classifica generale. Il toscano è stato preziosissimo per il britannico dimostrando di andare fortissimo anche in salita, nella tappa di Sega di Ala è stato ancora una volta tra i migliori fino alla fine, fermandosi ad aiutare il suo capitano che rischiava un clamoroso fuori giri. Nella diciottesima tappa del Giro, pe­rò, Bettiol si è preso il suo spazio per tentare l’assalto ad uno dei sogni più grandi. A Rovereto la squa­dra gli ha dato il via libera e lui non ci ha pensato due volte, nonostante fosse la terza settimana con le energie ridotte quasi a zero. Forse non è un caso che abbia vin­to una delle frazioni che aveva il chilometraggio da classica, 231 km per una tappa che sulla carta era aperta a numerosi scenari e che ha visto una bagarre iniziale incredibile di corridori che lottavano per andare all’attacco. La sua vittoria se l’è costruita pezzo per pezzo, l’ha rincorsa e l’ha voluta a tutti i costi nonostante nessuno tra gli inseguitori gli desse un cambio, ha stretto i denti ed è andato a riprendere e poi a staccare Remi Cavagna che aveva tentato l’assalto sulla penultima salita dell’Oltre­po. Nei chilometri finali Bre­schel, il suo direttore sportivo, gli urlava alla radiolina di non fermarsi, lui che va anche molto forte a cronometro doveva solo guardare avanti, pensare all’arrivo, solo così gli altri non lo avrebbero potuto raggiungere. Bettiol è entrato a Stradella da solo, accolto da una fiumana rosa che inneggiava il nome del campione ritrovato. Sul traguardo il primo pensiero va a Mau­ro Battaglini, procuratore ed ami­co che è venuto a mancare nel settembre scorso. Alberto Bettiol si concede qualche lacrima, sopraffatto dall’emozione appena si rende conto che si è tolto di mezzo quel blocco che gli im­pediva di essere chi è realmente.
«Sono stati due anni duri - spiega Bet­tiol -: io sono umano, forse il più uma­no di tutti e come gli altri ho molti limiti. Pretendevo sempre di vincere da su­pereroe senza mai avere il mal di gam­be, ma il ciclismo ci insegna che facciamo uno sport duro e soprattutto umile, sono più le volte che perdiamo che quelle che vinciamo, è una legge tremenda, ma combattiamo anche per que­sto. Ho vinto con la testa. ad un certo punto del Giro le energie non ci sono più per nessuno; ogni giorno è fondamentale non perdere la trebisonda e fare tabula rasa dopo ogni tappa; io mi sono creato una bolla nella bolla, un modo per scacciare tutto quanto e rimanere concentrato su ciò che sto facendo».
Il segreto di Bettiol è non arrendersi, ma riprovarci ancora e ancora senza preoccuparsi se il risultato non arriva perché lui i numeri li ha ed era solo una condizione mentale che aveva bisogno di essere sbloccata. Lo sa bene anche Leonardo Piepoli, suo storico preparatore, che ormai da tanti anni gli sta al fianco come un vero e proprio angelo custode, pronto a spronarlo in ogni occasione. Vedendo Alberto andare così forte in salita viene immediatamente da chiederselo: in futuro potrebbe puntare ad un grande Giro? Il corridore toscano però tiene i piedi ben saldi a terra, dopo tutto non è un grande amante delle corse a tappe, preferisce il sudore e la fatica delle corse di un giorno, ma non nasconde che dopo tutto non ha ancora capito i suoi limiti ed ora come ora potrebbe andare veramente ovunque. Arrampicarsi sulle montagne gli piace, i ritiri al Teide con 3000 metri di dislivello gli hanno insegnato a sopportare la fatica e il duro allenamento sta dando i suoi frutti. Ora Bettiol si è trasferito a Lugano e si diverte ad allenarsi con Nibali, Pozzovivo ed Ulissi, vive con la compagna Greta, la figlia Andrea Tafi, suo indispensabile punto di riferimento.
«Il “Tafo” è un amico, prima che conoscessi Greta lui era già un mio tifoso speciale, tra noi c’è un rapporto unico, mi dà tantissimi consigli ed io sono onorato di averlo dalla mia parte, in comune abbiamo la vittoria al Fiandre, mica roba da poco».
In questo anno olimpico, dove tutti vanno forte e vogliono migliorarsi an­cora di più, Alberto Bettiol sta dimostrando di essere uno tra i favoriti per fare parte della magica cinquina per i Giochi di Tokyo. Con la vittoria e con questo Giro straordinario ha dato un segnale fortissimo a Davide Cassani che, grazie alla “moto azzurra”, ha studiato ogni sua mossa.
«Da qui a Tokyo c’è ancora molto tem­po, tante cose da preparare e so­prat­tutto da migliorare, ma penso che qui al Giro ho detto chiaro e tondo che io tengo tantissimo all’Olimpiade, esserci sarebbe qualcosa di unico per me».
Il toscano non ha paura di raccontare il suo sogno, Tokyo è ancora lontana, ma con la grinta che lo contraddistingue non facciamo fatica a scommettere che forse, prima del volo olimpico, Alberto si stia già sognando vestito con la ma­glia tricolore...

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