Scripta manent

Napoli e l'amore per Coppi

di Gian Paolo Porreca

L a domanda precisa, e in fondo attesa, di Mimma Caligaris, la gentile collega del Piccolo di Ales­san­dria, al telefono qualche gior­no fa, è ancora lì, fiammeggiante. «Ma perché voi in Campania avete, come si racconta, tanto amato Fausto Coppi?». Già, perché una pas­sione singolare, anzi re­gio­nale, in questa Campania che oggi il ciclismo lo conosce a stento, e che si staglia in una devozione universale verso il “campionissimo”, da rileggere per il centenario della sua nascita? E da decifrare ancora meglio, nel fon­do di ciascuno di noi che - in Campania - abbia intuito il senso della storia e di quel ciclismo e di quella avventura umana e sportiva.

Noi parliamo per noi, e partiamo da un concetto personale, di vita. Si ama chi ci ama, in­nan­zitutto, e in Campania, fra Caserta e Napoli, Coppi è stato tanto amato perché lui ha voluto infinitamente bene ad una terra che gli è stata due volte destino prezioso. Coppi e la Campania, vuol dire innanzitutto quel tempo lungo e breve, pochi mesi, febbraio - aprile 1945, trascorso a Caserta, come at­tendente di un tenente inglese della RAF, dopo il ritorno in patria dalla guerra in Africa, che gli consentì di toccare con mano, anzi con il cuore che non è un organo astratto, la generosità degli appassionati locali. E di po­tere inforcare ancora una bi­ci da corsa, per cominciare a dialogare nuovamente con il ciclismo e con una vita di sport, e non più di guerra.

Quella bici di battaglia che un falegname del­l’hinterland napoletano, di nome D’Avino, gli of­frì in scia ad una petizione popolare: «una bici per Cop­pi», come aveva perorato dal­le colonne della Voce Gi­no Palumbo…
E la seconda volta, la complicità da noi con Coppi fu più squisita, se vogliamo, anche più moderna, se ci  consentite. Perché fu proprio la Campania, dopo il Giro della Campania 1954 vinto con la maglia di campione del mondo, a festeggiare - o a proteggere, fate voi - una sua fuga per la vittoria del tutto particolare. Dopo lo sprint all’Arenaccia, su Gismondi e Gauthier, via di corsa, e ben celato dagli occhiali da sole, più veloce ancora che nella discesa dal Chiunzi, per vivere una serata di amore con Giulia Oc­chi­ni, la dama bianca, al “San­ta Caterina” di Amalfi. La Costiera irresistibile, do you know?
Una regione così di cuore, la Campania, prima madre, poi amante, da riamare senza equi­voci. Come senza alterna­tive, da Caserta a Napoli, senza gelosie, Coppi è stato parimenti amato.

E noi che scriviamo, noi che cosa diciamo, noi che Coppi l’abbiamo vi­sto a stento? Noi ci e vi raccontiamo, per sentito amore, quanto diceva - eravamo bam­bini e a Coppi preferivamo Fornara - e ascoltavamo incantati le sue parole, Fran­co Scandone, amico di famiglia, il prediletto giornalista napoletano, che seguiva il ci­clismo per Tuttosport e per il Roma. «Paolo, mai visto qualcuno come Coppi, credimi. Sul Chiunzi ha sgretolato gli inseguitori e dopo Pom­pei ha raggiunto i fuggitivi e sul velodromo ha dominato come un dio», «Ecco, Paolo, quando andrai alle medie e studierai la mitologia saprai meglio di oggi, che stai solo alle elementari, chi è Coppi». Un dio dell’Olimpo, assunto al cielo in bicicletta.

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