Scripta manent
Vorremmo un ciclismo vero tutto l’anno
di Gian Paolo Porreca

Siamo di quelli, come voi d’altra parte, che vorrebbero che il ciclismo non finisse mai. E ce ne convincevamo una volta di più, il sabato del recente Lombardia.La suggestione di Bergamo Alta, in una giornata di ottobre che meritava anche una vrenzola di sole, ci ha regalato infatti una classica delle foglie morte che profumava già di primavera. E sì, quel podio tutto italiano, Celestino Di Luca Mazzoleni, a siglare al «Lombardia» la parola fine della stagione ’99, sembrava proprio esaltare una tale filosofia, una tale fantasia innanzitutto: che il ciclismo continuasse sempre, in altre parole. Sì, che pure il 16 di ottobre la «Sanremo» di marzo fosse già in agguato dietro l’angolo. Che per magia si potesse abolire l’oscurità del letargo autunno-invernale. Sì, perché il ciclismo in noi - ed in voi - non ha soluzione di sentimento, corre perpetuo tutto l’anno!

Celestino - Di Luca - Mazzoleni, una giovane trinità di splendido augurio certo per il ciclismo italiano, proprio in coda ad un anno tanto martoriato per noi, che alla fine ritroviamo il solo Bettini fra i primi dieci di quella classifica finale di Coppa del Mondo che per il passato ci vedeva invece dominare e che l’anno scorso, ad esempio, ospitava tre italiani nei primi quattro: conBartoli in testa, con 416punti, un successo per distacco...
Un anno ingrato, il ’99, si sa. Con quel Bartoli costretto ad un doloroso, perdurante stop fisico, dopo la drammatica caduta in Germania. Ed ancor più conPantani, quel Pantani salvatutto del ’98, che non avrebbe più ripreso l’attività agonistica dopo il sabato di Madonna di Campiglio.

Pensavamo, sabato 16 ottobre, che avremmo voluto un ciclismo che abbracciasse tutto l’anno. Ma di quale ciclismo azzurro, o Celestino..., abbiamo desiderio? Quello che contempli, ovviamente, un totale recupero del ginocchio di Bartoli.Ma che ambisca, come è doveroso augurarsi, ad un non meno totale recupero psicofisico di Marco Pantani! Lì, la ricostruzione di un quadro anatomoclinico complesso, affidata alla abilità degli ortopedici e dei fisiatri.Qui, un problema che coinvolge ed interroga in senso lato le coscienze degli uomini di buona volontà. E di migliore lealtà. Solo per concetto, tutti noi?
Pantani ha verosimilmente sbagliato a suo tempo: ma come è vero che nel 2000 avrà solo trent’anni, è altrettanto vero - ed ancor più augurabile - che potrà anche non sbagliare ulteriormente. Con la speranza che le persone del suo entourage, familiare e ciclistico, lo aiutino in questa determinante scalata (sia pure con sei mesi di ritardo...).

Vogliamo ancora tanto ciclismo su strada, a fine ottobre. D’accordo, ma quanta strada di corsa dovrà fare il ciclismo in questi mesi di sosta per recuperare da un lato Pantani e da un altro la credibilità sua?
Non siamo di quelli che reputano l’atleta di Cesenatico capro espiatorio di una congiura, o scempiaggini varie: chi ci ha letto conosce bene la nostra sia pure amara onestà. Ma siamo francamente perplessi nel rilevare una sorta di calo di tensione nei riguardi dei problemi del doping, nel ciclismo: un certo disorientamento.
Senza voler tornare sulla tenzone fratricida fra CONI e FCI da un lato e UCI dall’altro al Giro d’Italia, con i «bravi» a sinistra e i «cattivi» a destra, ed i ciclisti servi di due padroni, basta ricordare gli episodi deplorevolissimi dei due atleti azzurri - lo junior Garofoli e l’under 23Lo Vano - sospesi al Mondiale per ematocrito alto, per toccare con mano il clamoroso insuccesso che la campagna antidoping ha realizzato nel ciclismo italiano. Ma il caso Pantani non ha insegnato nulla, allora, ai tecnici nazionali ed ai loro referenti di équipe? Fulminato lui e purificati tutti gli altri, per volontà celeste? Ed è tollerabile che si persegua, semmai in campioncini di giovane età, quale soglia dell’intoccabilità il certificato medico che giustifica come «fisiologico» un ematocrito superiore al 50%? Ed è possibile che l’Unione Ciclistica Internazionale non si decida a tirar fuori questi nomi di pazienti di talento, e semmai quell’ancor più lungo elenco di atleti che viaggiano con testosterone ed epitestosterone fuori range? E la Federazione Ciclistica Italiana, pur nel suo spirito di Crociata, è a conoscenza che stanno impunemente ri/entrando nel ciclismo professionistico team manager e loschi figuri, sorpresi in un non lontano passato dai Nas con valigette cariche di Epo e anabolizzanti ed Emagel? E persiste impavida, nonostante l’esperienza di Pantani, questa licenza di far male al ciclismo?

Vorremmo il ciclismo tutto l’anno, come voi: e vincitori al 41% di ematocrito, per inciso come Celestino.Ma vorremmo ancor più che si evitassero le parole ed i proclami superflui. E si considerasse invece inidoneo all’attività agonistica non solo chi ha un ematocrito occasionalmente superiore al 50, come Pantani.Ma ancor più chi riferisce una siffatta condizione come congenita: e tale quindi da determinare una inabilità «definitiva» - e non «temporanea»... - alla pratica agonistica! O no?

Gian Paolo Porreca, napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare, editorialista de “Il Mattino”
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