Scripta manent
Napoli, ti serve il ciclismo di zio Antonio
di Gian Paolo Porreca

La colpa si sa, nel ciclismo e altrove, come per tutti i mali del mondo curabili o meno, è sempre dei medici. Ma questa davvero, nella mia vocazione all’espiazione, non riesco a perdonarmela.Questo errore, questa disattenzione nei riguardi di zio Antonio, il mio prozio, 87 anni, medaglia d’oro della Grande Guerra e irriducibile protagonista del ciclismo partenopeo dei primi decenni del secolo, un fisico tuttora integro, asciutto. Quello zio Antonio, i baffetti curati, i capelli candidi tirati indietro, che mi regalava con religiosa devozione le foto di epoca, dagherrotipi sbiaditi, di quando correva la Roma-Napoli o gareggiava fra le carrozze e le prime autovetture nei criterium intorno alla Villa Comunale regia, non quella di autore - rivisitata - di oggi. E che avrebbe avuto ancora il gran cuore di affidarmi, come una preziosa reliquia, la medaglia d’oro da lui vinta alla Coppa Commercio ed Artigianato nel 1929...

Egià, zio Antonio, una sorta di referente del ciclismo napoletano del tempo andato - un tempo per fortuna di memoria viva - e che da un paio di mesi è afflitto da quel banale ma tanto invalidante malessere della vecchiaia che è la cataratta, l’opacamento del cristallino: non vederci più bene, in altre parole, quando si confondono le immagini davanti e si abbassano le ombre e non ci sono occhiali che schiariscono. Ebbene, fra le brevi ore quotidiane, gli impegni inutili, le mancate coincidenze con i colleghi, questo intervento a zio Antonio, per restituirgli il nitore dello sguardo, per una cosa o per l’altra - tutto più urgente, dell’ovvio privilegio che meriterebbe chi ci ha visto crescere - sono riuscito a programmarlo solo per i primi di agosto: due mesi di attesa, o di pigrizia, dalla prima diagnosi!
E la sua telefonata di sacrosanto rimbrotto, allora, l’altro ieri, il numero fatto dalla moglie, «Paolo, ma ti rendi conto che per causa tua non ho potuto vedere le vittorie di Commesso, prima al campionato italiano e oggi al Tour? Ma ci pensi che me le hanno dovute raccontare?».

Ma come potrò mai farmi perdonare da te, caro zio Antonio, tu, memoria del ciclismo di casa nostra e certo per li rami responsabile di un pronipote che è quello che è, per il ciclismo o per colpa del ciclismo? Tu, riferimento affettuoso di quel mondo campano a due ruote, per quanto tempo carbonaro, fra Domenico Milano e Amedeo Marzaioli, e che si è in questi ultimi tempi così magicamente ridestato fra Figueras e Commesso e Santoro e D’Amore e sembra quasi sostituire umoralmente l’Inno di Mameli, fuori riga e fuori scala, con quella «oi’ vita oi’ vita mia/oi’ core e’ chistu core» di maradoniana memoria!

Tutta colpa di noi medici... lo vediamo quotidianamente, lo sfascio di certo ciclismo a due velocità, a tre velocità, o ad una sola velocità, solo perché da quelle ultime più furbe parti il protezionismo ha truccato l’autovelox... e anche in queste piccole storie da lessico familiare, e non da Libro dei Miracoli della chemioterapia come quella di Lance Armstrong.

Fra dieci giorni, di sicuro, lo sguardo di zio Antonio sarà di nuovo chiaro, come è sempre stata la sua mente, e vorremmo regalargli un nuovo velodromo Arenaccia, un nuovo arrivo in Via Caracciolo di un Giro d’Italia o di un Giro della Campania o di una Firenze-Roma che prolunghi più in giù il suo disegno, una nuova riunione tipo pista, intorno alla Villa Comunale. Che era ancora fin de siècle ai suoi tempi, fra i cappelli e gli chiffon e le Signore chiamate Gioventù, e senza accorgercene - dio mio, come passa il tempo! - è diventata fin de siècle anche per noi!

Vorremmo, anche per i galantuomini come lui di quel ciclismo con i pantaloni alla zuava che fu, una Napoli invasa dalle bici, in primavera ed oltre. Già, quella Napoli, cari amici che ci leggete dall’alto, che è una sorta di spaccato in miniatura del ciclismo, a pensarci bene. Dove la trovate, infatti, una città che ha i muri verticali - Salita Due Porte all’Arenella - come il Giro delle Fiandre, il pavé sconnesso - Corso Garibaldi - della «Roubaix», una salita ardua e a picco sul mare - Via Orazio o Via Petrarca - come il Poggio di Sanremo, una promenade dallo spettacolo fastoso - Via Caracciolo, appunto - come i Campi Elisi di Parigi... Ed oggi che abbiamo anche i ciclisti campioni, e non solo le tenere figurine che riscaldano il cuore, a Napoli, oltre al sindaco e agli assessori allo sport e agli sponsor industriali troppo integrati con gli affari di mare, manca solo il ciclismo!


Gian Paolo Porreca, napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare, editorialista de “Il Mattino”
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